Mi trovo attualmente a Diyarbakir o se volete Amed secondo il tradizionale nome kurdo, capitale dell’ampia regione della Turchia sudorientale abitata in prevalenza da curdi, il più numeroso popolo senza Stato del mondo che, oltre ad ampie zone della Turchia, abita importanti parti di Iran, Iraq e Siria. Rispetto alle mie precedenti visite alla città, che risalgono ormai a quindici anni fa e passa, ho trovato un clima più disteso e un atteggiamento meno agguerrito e minaccioso da parte delle forze di sicurezza turche. Negli ultimi quindici anni si è in effetti consolidata la consapevolezza e l’accettazione dell’identità curda nel quadro della conferma dell’integrità nazionale della Turchia e degli altri Stati abitati da curdi.
In virtù della strategia, culturalmente, socialmente e politicamente molto avanzata, del “confederalismo democratico“, elaborata in questi anni di prigionia sull’isola di Imrali dal leader curdo Abdullah Ocalan, quello che più conta è far crescere la partecipazione democratica dal basso in difesa di ambiente e diritti sociali.
Una testimonianza molto concreta di questa linea profondamente democratica l’ho avuta stamattina visitando la città, che conta oltre settemila anni di storia con importanti vestigia assire, persiane, romane ed islamiche. Il movimento ambientalista legato ad oltre quaranta comitati di base cittadini punta a discutere e mettere in opera un piano di recupero della città e dell’ambiente circostante, fortemente caratterizzato dalla presenza del Tigri, che insieme all’Eufrate rappresenta la culla della civiltà occidentale. Questo importante movimento sta riuscendo a ottenere importanti obiettivi di salvaguardia ambientale e del patrimonio culturale, puntando, come ci si augura avverrà a fine di questo mese a Bonn, alla dichiarazione della zona come patrimonio culturale dell’umanità da parte della competente Commissione dell’Unesco.
Iniziativa democratica dal basso e intervento delle istituzioni internazionali cui è affidata la protezione della scienza e della cultura si fondono in tal modo esemplarmente per garantire agli abitanti della città, oggi oltre un milione, diritti ambientali e culturali fondamentali, come pure al resto dell’umanità, la conservazione di parti fondamentali e irrinunciabili del suo patrimonio millenario.
Non può non colpire l’evidente e irriducibile contrasto con chi invece punta alla distruzione di tale patrimonio, si tratti dei fondamentalisti islamici che devastano le antichità a Palmira o a Nimrud, o delle avide imprese, nazionali o multinazionali, che saccheggiano risorse e ambiente per ottenere profitti immediati a tutti i costi come è avvenuto di recente non lontano da qui con il demenziale progetto della diga di Hasankeyf, condotto con il supporto di imprese austriache e tedesche.
L’approccio partecipativo costituisce il miglior antidoto alla distruzione, come dimostrato qui a Diyarbakir dalla vittoria della mobilitazione di migliaia di studenti universitari che, accampandosi in massa nelle zone vicine al fiume, hanno impedito con successo il taglio di moltissimi alberi.
Dopodomani in tutta la Turchia è giorno di elezioni. Mi pare molto significativo il fatto che perfino l’Economist, che ho letto ieri in aereo, auspichi il successo della formazione Hdp, curda ma anche turca, come migliore risposta al crescente autoritarismo di Erdogan e come necessario stimolo alla ripresa dei negoziati per una soluzione pacifica del problema curdo fra governo turco e formazioni curde armate del Pkk. Ma su questi aspetti tornerò nelle mie prossime corrispondenze da questi luoghi.
La posta in gioco è molto alta e lo dimostra l’interesse di forze oscure come quelle che hanno fatto scoppiare oggi pomeriggio due bombe al comizio finale dell’Hdp gremitissimo di folla, provocando 27 feriti. Occorre sperare che la forza del movimento democratico sia tale da respingere queste criminali provocazioni.
Non si tratta come è evıdente solo di questioni “locali”. La portata universale di questa lotta può essere colta analizzando l’approccio partecipativo e democratico all’opera, unica tutela possibile dell’umanità da un destino di servitù e di degrado.