Una bellissima vignetta, qualche anno fa, riproduceva il logo della National Security Agency abbinato ad un sorprendente falso slogan. La frase diceva “NSA, l’unica parte del Governo che ti sta a sentire”.
67 voti favorevoli hanno spianato i 32 contrari alla promulgazione dell’USA Freedom Act, il provvedimento innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden che hanno reso pubbliche le attività di spionaggio sistematico della NSA. Il Senato ha decretato che l’Agenzia può ancora esigere dagli operatori telefonici informazioni riconducibili ai propri utenti ma non potrà più agire in maniera indiscriminata: le richieste di dati dovranno essere mirate su specifici soggetti o gruppi di persone con puntuale identificazione degli interessati.
Il provvedimento concede alla NSA sei mesi di tempo per ultimare i lavori in corso e chiudere le attività di intercettazione. In futuro l’intelligence non avrà più l’assoluta libertà di movimento, ma potrà agire solo in presenza di fondati sospetti di terrorismo.
Patrick J. Leahy, il senatore democratico del Vermont che ha capeggiato la crociata contro lo strapotere della NSA, ha dichiarato con soddisfazione che il Congresso sta ponendo fine una volta per tutte alla collezione di informazioni derivante dal traffico telefonico degli americani. Sull’altro fronte si agitano i supporter del programma operativo della National Security Agency, che pronosticano un decadimento qualitativo dell’attività preventiva.
Il capo gruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha tuonato nei confronti del Presidente Obama, ritenendo responsabile di un indebolimento del sistema di sicurezza statunitense in linea con la sua ferma opposizione alla detenzione dei presunti terroristi nella struttura penitenziaria di Guantanamo Bay e con il fallimento del contrasto dello Stato Islamico.
Barack Obama aveva inizialmente difeso il programma della NSA, ma – a seguito di alcune approfondite revisioni interne che avevano evidenziato una sostanziale inefficacia e una non latente illegalità delle attività svolte – ha poi preferito schierarsi con chi riteneva indispensabile una riscrittura delle regole da parte del Congresso.
In precedenza sia la sua amministrazione sia quella di George W. Bush avevano trovato giustificazione al programma di spionaggio prendendo spunto dalla Sezione 215 del cosiddetto “Patriot Act”, che conferiva alle organizzazioni investigative federali il potere di pretendere dalle società di telecomunicazioni ogni informazione relative alla clientela e all’uso che questa faceva di telefono fisso e mobile.
McConnel ha tentato un’ultima mossa a difesa di NSA, chiedendo il raddoppio del periodo di sei mesi concesso all’Agenzia per adeguare le procedure e pretendendo che il governo certificasse che il nuovo assetto fosse esente dal recare pregiudizi alla sicurezza nazionale, ma non l’ha spuntata perché anche molti suoi colleghi repubblicani hanno votato a favore del Freedom Act.
Ron Wyden, senatore democratico dell’Oregon, ha dichiarato “Questo è solo l’inizio. E ci sono ancora un mucchio di cose da fare…”
L’era del controllo orwelliano è al tramonto? La più recente stagione di “Nemico Pubblico” volge al termine? Difficile a dirsi, ma la nuova norma è senza dubbio un passo importante nel difficile cammino verso un reale rispetto della privacy. Dopo le istituzioni, però, adesso dovrebbe venire il turno dei giganti del settore TLC e dei gestori di motori di ricerca e di social network, tutte realtà non meno temibili per il cittadino indifeso dinanzi al sempre più vorace vampirismo dei dati personali.
@Umberto_Rapetto