È Salvini il degno erede di Berlusconi? A giudicare dall’avanzata della Lega Nord nel centro Italia verrebbe da dire di sì. Le Regionali del 31 maggio hanno consegnato al Paese una geografia politica profondamente mutata, con un Carroccio che ha letteralmente cannibalizzato i voti di Forza Italia, riducendo al lumicino quella che un tempo era una spietata macchina da consensi. Non solo il partito guidato da Matteo Salvini è riuscito ad imporsi come prima forza del centrodestra in territori che non erano mai stati generosi con il simbolo dello spadone, ma è anche l’unico che, dati alla mano, sia uscito rafforzato dalla tornata elettorale. La Lega, grazie soprattutto all’avanzata nelle regioni rosse, si è messa in tasca un robusto saldo positivo (+402mila voti rispetto alle politiche del 2013, +256mila rispetto alle europee dello scorso anno). Un dato che assume ancora più corpo se si pensa al contesto di generale disaffezione al voto in cui è maturato. Così la Lega incassa e gli altri lasciano sul terreno tonnellate di consensi.

Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione

Ma dove nasce questo risultato? Il merito è ascrivibile in larga misura al frontman, Matteo Salvini, alla sua comunicazione diretta e senza mezzi toni. Un successo che arriva dalle felpe. Dalle parole scandite nelle piazze. Dagli scontri accesi con gli oppositori. Dai temi stessi scelti come terreno di battaglia con gli avversari. Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione e chiede soluzioni a portata di mano. Così contro i campi Rom si evocano le ruspe, contro i clandestini l’affondamento delle navi e via di questo passo. Un messaggio radicalizzato e spinto al limite che interpreta lo spirito del momento. La ricetta è semplice e replicabile: il leader si infila nella polemica giusta al momento giusto, la cavalca e riesce a trarne il massimo vantaggio. “A Salvini  piace insomma trasformarsi ed esibire i muscoli – si legge nell’ebook Matteo Salvini #ilMilitante scritto dal giornalista del ilfattoquotidiano.it Alessandro Madron insieme a Alessandro Franzi (Ansa) – Da comunista ad amico dell’estrema destra. Da indipendentista a nazionalista. E come ogni leader ha bisogno di un palcoscenico”. Secondo i due “esperti di Carroccio” “c’è chi dice, parafrasando il celebre titolo di un libro di Susanna Tamaro, che lui va non dove lo porta il cuore ma il sondaggio del momento. O, da un altro punto di vista, lui va dove lo porta il suo fiuto politico che ricorda molto quello di Bossi. Chiunque osservi le sue acrobazie all’insegna del politicamente scorretto gli dà atto di saper fare bene una cosa soprattutto: vendere se stesso e la sua merce politica dove occorre, quando conviene e nella quantità che chiede il suo pubblico. Tutte le idee collezionate in oltre vent’anni di attività politica si traducono in un uso massiccio di parole d’ordine schierate con nettezza. Che mobilitano e danno scandalo allo stesso tempo. O di qua o di là, appunto. Non si potrebbe dunque spiegare l’ascesa politica del giovane leader della Lega se non si mette la sua storia di militante sul palcoscenico – reale e virtuale – che calca quotidianamente davanti agli occhi degli italiani”.

Nel libro Madron e Franzi, oltre alla ricostruzione biografica del leader che ha resuscitato la Lega, cerca di analizzare  in maniera critica, concreta e compiuta – e liberandosi dal pregiudizio – i modi e i contenuti della comunicazione salviniana, vera chiave di lettura del suo successo elettorale. Un leader apparentemente senza qualità, senza esperienza e senza meriti particolari, che è riuscito a resuscitare la Lega, partito dato per morto dai più, che oggi, dopo aver cambiato pelle, incarna le ambizioni della destra italiana meglio di qualunque altra forza politica. Le parole d’ordine del Salvini-pensiero girano tutte intorno alla “distinzione tra amici e nemici. Nessuna via di mezzo”. Insomma, con lui o contro di lui. Parole che “non si comprenderebbero abbastanza senza i toni scelti per propagandarle”. È infatti “con frasi dure, sconvenienti e scioccanti che il leader della Lega rende visibile questa netta divisione fra amici e nemici. L’Unione Europea? È ‘il quarto Reich, i nuovi nazisti’. O è anche, in altre occasioni, ‘l’Unione sovietica europea’, la dittatura tecnocratica”.

In questo solco si innestano anche i toni usati per parlare di altri temi, come l’immigrazione di massa e le politiche d’accoglienza. È qui che “Salvini dà il meglio o il peggio di sé”. Nell’analisi de #ilMilitante si ricorda: “Quando nel canale di Sicilia, il 19 aprile del 2015, un barcone si è rovesciato in mare provocando più di 700 vittime, ha attaccato il governo non appena erano iniziati i soccorsi: ‘Altri morti sulle coscienze dei falsi buonisti, di Renzi e Alfano’, premier e ministro dell’Interno. “Bisogna fare un blocco navale internazionale subito, per bloccare le partenze”. ‘Un raccapricciante cinismo’, l’ha definito il leader di Sel, Nichi Vendola. Il partito del premier Renzi ha dato a Salvini dello ‘sciacallo’. A lui non sembra importare. Anzi, più lo attaccano, più si rafforza. E allora alla provocazione aggiunge provocazione: Salvini veicola i toni forti in ogni modo e con ogni mezzo. È proverbiale la sua massiccia presenza mediatica, ma non si limita a questo. Ci sono anche i comizi, le feste della Lega, gli appuntamenti tradizionali durante i quali incontra la base e rinverdisce quel rapporto fatto di pane e salamelle. Il quadro però non sarebbe completo senza considerare l’aspetto più caratteristico della sua comunicazione: l’uso compulsivo ma tecnicamente efficace dei social network, Facebook su tutti. “È da li che ha lanciato frasi scandalose come quella di non far attraccare i barconi dei migranti a Lampedusa o quelle contro gli avversari politici da prendere “a calci nel culo”. Dichiarazioni fatte con slang giovanile e l’aria scanzonata da bravo ragazzo che, propagate dal pubblico, diventano scazzottata tra fazioni rivali, fino a raccogliere gli sfoghi più viscerali”.

“Su Facebook un terzo degli italiani si collegano ogni giorno: spesso persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano l’opinione ascoltando messaggi semplici”

E a questo proposito ne #ilMilitante è stato raccolto il punto di vista di Stefano Epifani, docente di social media management all’università La Sapienza di Roma, che spiega che “il nostro è un Paese di periferie e di piccoli comuni. Su Facebook ci sono 20 milioni di persone, un terzo della popolazione italiana che si collega quotidianamente. Spesso si tratta di persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è questa, è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano la propria opinione guardando un video e ascoltando messaggi semplici. E queste sono le persone che Salvini intercetta meglio: se il suo target fosse un altro, farebbe discorsi diversi”.

Insomma, Salvini arriva sempre diretto e limpido: “La sua strategia comunicativa trova successo nell’offrire messaggi brevi e comprensibili a tutti. Colpisce dove deve colpire. È quello che gli serve, anche se poi questo genere di messaggi raramente finisce in profondità ma resta sulla superficie dello slogan”. Ed è forse proprio questa superficialità del messaggio la cifra più marcata dell’agire salviniano. Una modalità comunicativa che, in un’epoca di crisi economica e ideologica, riesce a fare breccia nell’immaginario di una platea sempre più vasta. E dopo il voto del 31 maggio la teoria è stata confermata dalla prova delle urne.

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