Nella profonda crisi economica e politica in cui langue da tempo, i social network sembrano venire in aiuto al disperato bisogno di passione civica di una Sicilia bloccata socialmente e culturalmente tra individualismo e diffidenza. Facebook, in particolare, sta aiutando cittadini tra loro sconosciuti ad aggregarsi attorno a iniziative di comune interesse coniugando un inedito “noi” e in questa democrazia liquida, ricca di astenuti, elettori migranti e povera di soldi da intermediare, i politici avvertono evidentemente la minaccia elettorale di queste aggregazioni spontanee e sembrano dar loro ascolto. Sinora si preoccupavano solo dei gruppi sociali organizzati e fisicamente individuabili nelle piazze, fidando sul fatto che tutti gli altri, pur maggiori per numero, avessero il vano destino di manifestare la propria indignazione e protesta picchiando contro un materasso che alla fine vinceva sempre sulla stanchezza che immancabilmente sopravveniva. La rete lascia invece traccia perenne di rilievi documentati, critiche e denunce che in un qualsiasi momento possono riapparire attraverso Google nel momento politicamente meno opportuno: la rete non si addomestica come certa stampa che intrattiene su altro rispetto ai problemi più sentiti dai cittadini.
Mi riferisco a due casi in particolare, nati entrambi a Palermo. Del primo ho già parlato un mese fa in occasione della prima assemblea pubblica di #AdessoBasta, associazione nata all’indomani del collasso del viadotto Himera che ha tagliato in due la Sicilia creando innumerevoli danni economici e disagi. Il numero degli iscritti è salito a quasi 24.000 e questi sono i fatti successi in questo periodo. #AdessoBasta, di fronte alla frettolosa decisione di abbattere entrambe le carreggiate dell’autostrada per ricostruirle di sana pianta mentre si dovrebbe realizzare una nuova “bretella” (su una strada peraltro già chiusa per eventi franosi e riaperta per l’occasione), aveva suggerito sin da subito di monitorare la carreggiata rimasta in piedi ripristinando la circolazione sulla A19 e questa tesi ha ricevuto poi il conforto dell’Ordine degli Ingegneri, di autorevoli docenti universitari dell’Università di Palermo, della stampa locale, fino a costringere il governo a farla propria, cambiando le proprie originarie decisioni. A due mesi dal collasso del viadotto, governo e Regione non hanno fatto molto se non cercare di attribuire agli eventi atmosferici di questo inverno la causa invece che al movimento franoso conosciuto e sottovalutato sin dal 2005 nonostante i fiumi di soldi impegnati nel monitoraggio del dissesto idrogeologico. L’associazione ha dato voce ai geologi che avevano colto da sempre il rischio e ha aiutato organi di informazione, sia su carta che televisiva, a riportare una lettura differente da quella che deresponsabilizzava tutti mentre si provvedeva a nominare commissario la stessa persona al vertice della Protezione civile regionale che aveva puntato per iscritto l’indice contro la pioggia, riportando tutti questi rilievi in un dettagliato esposto alle procure penali e contabili e in una diffida alla Regione su cui si stanno raccogliendo in questi giorni le firme mentre gli avvocati dell’associazione stanno preparando anche un innovativo ricorso alla Corte Europea. Se un disastro colposo c’è stato, non può rimanere impunito.
— #adessobasta (@2015Adessobasta) 10 Maggio 2015
Il secondo caso è quello dell’Associazione Ruggiero Settimo, anch’essa nata su Facebook attraverso un gruppo chiuso con più di 1.600 iscritti, che raccoglie residenti, commercianti e proprietari del centro di Palermo che lamentavano il degrado in cui era abbandonato per una malintesa tolleranza verso venditori ambulanti immigrati, rumorosi artisti di strada, clochard e mendicanti con o senza animali al seguito. Il controllo del territorio documentato quotidianamente dall’Associazione sembrava non interessare più di tanto l’Amministrazione comunale fino a quando non si sono voluti approfondire in punta di diritto le proprie ragioni scoprendo che ciò che si denunciava configurava violazione di precise norme del codice della strada e di ordinanze sindacali che regolavano il commercio ambulante, vietandolo in assoluto in alcune strade. Ci sono stati degli incontri con il vertice dell’Amministrazione che, dopo la diffidenza iniziale, ha compreso le ragioni dell’Associazione motivate non certo da razzismo, ma dalla consapevolezza che le regole devono valere per tutti anche se un certo buonismo stava di fatto rendendo “diversi” proprio coloro che accogliamo e vogliamo integrare come una risorsa in un continente di vecchi, più che nel vecchio continente, che ha quindi un vitale bisogno delle energie e della forza di chi cerca altrove fortuna. L’ordinanza sul commercio ambulante ha quindi ulteriormente allargato il perimetro del divieto e il centro è oggi decoroso e curato come da tempo non si ricordava, a vantaggio di tutti, residenti e turisti.
Ci sono degli elementi comuni a queste due storie che mi preme sottolineare: si è saputo in entrambe unire alla protesta la proposta e la proposta è stata fondata su effettive competenze professionali. #AdessoBasta ha costituito addirittura al suo interno un comitato scientifico di ingegneri, architetti e geologi capaci di argomentare autorevolmente le proprie ragioni. In entrambe le associazioni poi la leadership è decisamente femminile. La creazione, a basso costo di tempo e soldi grazie ai social network, di soggetti intermedi nella società può utilmente supplire alla crisi di rappresentanza dei partiti nella misura in cui questi soggetti agiscano in modo autorevole per le competenze di cui dispongano, in modo trasparente e senza altre finalità, e le istituzioni e la politica mostrino la dovuta attenzione verso queste manifestazioni evolute di cittadinanza attiva. Il laboratorio politico della Sicilia questa volta promette una partecipazione civica vera e quanto mai salutare contro le operazioni di puro potere cui ci ha abituato in passato.