L’uomo, che con la sua modestia e sobrietà ha mostrato un modo di fare politica, mentre in molte parti del mondo civilizzato “i governanti si allontanano da come vive la gente comune; non rappresentano la maggioranza della popolazione nel loro modo di vivere, e le persone si abituano docilmente ad accettarlo”. “Avanzano i nuovi marchesi contemporanei!”, denuncia Pepe Mujica, e ben altro, in pagine che trasudano lucida saggezza di chi ha vissuto la lotta alla dittatura e quattordici anni di prigionia, prima di divenire presidente del suo paese nel 2010, rinunciando alla sede presidenziale e a gran parte del proprio stipendio in favore dei poveri. Con un solo nemico: lo spreco. Di risorse, innanzitutto. “La società di consumo ci domina in modo imperativo da tutte le parti, come una grandissima ragnatela dalla quale no riusciamo a uscire, che ci ruba la libertà e determina il fatto he non ci sia più bisogno dell’esercito militare per dominaci”. Tale dominio si attua oggi “sottilmente, con la propaganda televisiva, conle campagne di marketing, con i colori, con i programmi”. A un giovane, Mujica dice: “Vivi come pensi, altrimenti finirai per pensare come vivi!”. “Radiamo al suolo le foreste, le foreste vere, e impiantiamo anonime selve di cemento. Affrontiamo la civiltà con i tapis roulant, l’insonnia con le pasticche e la solitudine con i dispositivi elettronici”. Per liberare gli oppressi nel mondo occorrerebbe mobilitare “le grandi economie, non per creare scarti e rifiuti, con obsolescenza calcolata, ma beni utili, senza frivolezze, per aiutare a sollevare i più poveri del mondo”. Come fare? Basti ricordare che “in ogni minuto del mondo, su questa terra, si investono due milioni di dollari in spese militari”. Ben meno, nella ricerca medica. Mujica ha provato a imprimere nella sua politica una svolta “anticonformista”. Esser custodi gelosi del proprio tempo. Una vita che non lascia tempo libero è un inferno di consumismo inappagante. “per vivere bisogna avere tempo: la cosa più bella della vita, quella che ci può gratificare, pretende che le dedichiamo tempo. […] siamo felici quando facciamo della nostra vita qualcosa che ci piace”. Per essere felici occorre avere il tempo di vivere, nella sobrietà. Contro “un tipo di civiltà che ci ingoia, che ha bisogno di farci diventare merce”.
Si aspirava alla Città ideale, Ferdinandopoli, una grande città operaia, gravitante attorno all’industria serica. Con scuole, leggi “moderne”, per il momento storico di cui parliamo, la fine del Settecento. Un esperimento sociale che avrebbe potuto rappresentare un modello a cui ispirarsi. Diversamente dai coevi operai inglesi, di cui parla Charles Dickens, gli abitanti di San Leucio potevano vivere e lavorare in case salubri di tre superfici. Le disposizioni reali previdero e persino superarono, per certi versi, i moderni sistemi previdenziali. Un episodio che ebbe soprattutto il limite della singolarità, in bilico tra utopia e assolutismo. Oggi un bel museo da visitare, ben conservato. Sud che parla ai Sud. D’Italia e del mondo. Un rimbalzo tra la città del sole di Campanella e le colonie gesuite del Paraguay, fino al modello di autogestione di Mujica.