Scritto da Roy Dolce, professione gigolò, e dallo psicologo Alessandro Pedrazzi, "Amore in contati" indaga la dinamica dei rapporti di sesso a pagamento, dal punto di vista femminile: “Per me non ne esiste altro (…) Come una lucciola (!) mi spengo e riaccendo fra un appuntamento e l'altro - ha raccontato una cliente - una parte di me si rivela solo quando lavoro e torna a nascondersi nel buio quando rientro a casa dopo uno dei miei tanti viaggi in giro per l'Italia”
L’argomento è pruriginoso: un gigolò e le sue clienti. Il trattamento rigoroso: una ricerca scientifica effettuata da uno psicologo titolato. Il risultato un saggio, “Amore in contanti” (ilmiolibo.it), che promette di raccontarvi tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere sull’amore a pagamento quando a pagare è una lei e a fornire la prestazione è un lui. E che lui: Roy Dolce, autonominatosi “il più noto gigolò d’Italia” (è su facebook e ha un suo sito), consulente e coautore di Alessandro Pedrazzi, lo psicologo, con il quale firma l’opera.
Co-protagoniste di questo saggio, quattro donne, diverse per età, cultura, estrazione sociale (ma non, evidentemente, per portafoglio), che, come scrive nella prefazione Marco Casonato, docente alla facoltà di Psicologia dell’università Bicocca, “sembrano rinverdire le tradizioni delle settecentesche nobildonne con i loro mantenuti o le evasioni delle baronesse dell’Ottocento con i romantici boscaioli incontrati clandestinamente dopo una galoppata solitaria nel folto della foresta”. In realtà, le varie Maria, Margherita, Beatrice, Antonella sono donne spesso ferite, quasi sempre irrisolte, comunque diversamente non felici, che trovano più o meno consapevolmente in questo “artigiano del sesso” (la definizione è dell’autore) una sorta di riparatore dei guasti che la vita ha inciso – anche – nella loro sessualità.
Maria, per esempio, è reduce da un matrimonio dove veniva costretta a rapporti promiscui. Margherita è provata da un ricovero coatto. Beatrice è afflitta dal problema di una verginità che, a quarant’anni, si è fatta piuttosto ingombrante. Antonella si dichiara “donna con la testa di un uomo” ma deve vedersela con il modello di donna sottomessa impartitale dal padre. E “Fiore di Pesco”, pseudonimo di una donna apparentemente forte sul lavoro come nel rapporto con l’altro sesso, si rivela invece la più insicura e fragile. E lui, l’oggetto del desiderio di queste e di moltissime altre donne? Roy – al secolo Roberto – Dolce si presenta come un uomo che si applica con passione e dedizione al suo mestiere. “Per me non ne esiste altro (…) Come una lucciola (!) mi spengo e riaccendo fra un appuntamento e l’altro; una parte di me si rivela solo quando lavoro e torna a nascondersi nel buio quando rientro a casa dopo uno dei miei tanti viaggi in giro per l’Italia”.
Una “lucciola” che accende le donne con il sesso, ma che soprattutto – dice lui – diventa per loro il custode silenzioso di tanti segreti di tante storie di vita. “Con molte delle mie clienti ho creato un legame particolare perché si sono condivisi momenti molto intensi, profondi e non mi riferisco solo al sesso. Anzi, quasi mai mi riferisco al sesso; è inflazionato, la gente non ne può più del sesso fine a se stesso. Le donne sono stanche dell’enorme peso che molti uomini danno alla sessualità finendo poi per trascurarle quando l’interesse estetico e carnale nei loro confronti va calando”.
Altro che incontri bollenti, posizioni estreme, giochi sconosciuti. “Io vendo un’emozione. Le donne che mi chiamano, quando si spogliano, non tolgono solo i loro vestiti ma tutto ciò che protegge la loro anima; l’impressione che ho (…) è che uscire con me sia liberatorio”. Romantico Roy: “Desiderei che il mio ricordo fosse associato a quello di un uomo sensibile che ha reso felici molte donne. E questo, la felicità delle mie clienti, è davvero ciò che mi fa stare bene”. Anche se “questa filantropia dei sentimenti non è ciò che ci si aspetterebbe da un gigolò”. Ma poi, alla domanda di Pedrazzi, “Che tipo di uomo è un gigolò?”, Roy scende sulla terra e risponde così: “Beh, un gigolò è un grande paraculo. Un gigolò è … è uno malato che però sfrutta la sua malattia per fare soldi. Malato nel senso che è uno imprigionato in una malattia strana, che potrebbe essere anche di nuove donne, di nuove mutande da tirar giù, questa frenesia di avere soddisfazioni personali o anche, come dire, dei piccoli premi, delle piccole soddisfazioni per colmare questo vuoto che ha … avere queste cose che lo gratificano. Come faccio a spiegarti? Non è altro che un piccolo uomo fallito, io lo vedo così, che però ha questa virtù: è l’amante di tante donne”.
Un piccolo uomo forse, fallito mica tanto, almeno dal punto di vista economico. Anche se il saggio non si sofferma su dettagli volgari come il prezzo delle prestazioni. Qui s’indaga sulla psiche di clienti e gigolò. Se non fosse un saggio di psicologia verrebbe da dire sull’anima di questi venditori di sé. Perché anche i gigolò, per certo, ne hanno una.
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