Basta fare un giro in Rete per capire che, spesso, i grillini odiano i civatiani quasi più di Renzi e Salvini. Al tempo stesso molti elettori di sinistra, e dunque non renziani, detestano i 5 Stelle. In questa guerra che somiglia a una lotta oziosa a chi ce l’ha più duro e lungo, quello che più se ne avvantaggia è Renzi. E subito dopo la destra, sia essa Salvini o Toti.
Sul versante opposto, che poi opposto non sarebbe, chi vota Sel o voterebbe Landini, non perdona ai 5 Stelle una serie di cose. Non avere collaborato con Bersani, “dire sempre di no”, non fare alleanze. Secondo chi vota o voterebbe sinistra radicale i 5 Stelle sono irrilevanti perché “non si sporcano le mani”, e hanno pure l’aggravante di vantare un consenso che la sinistra radicale neanche mai ha sognato.
Una faida simile, altamente masochistica, è perfetta per Renzi e Berlusconi. Il Pd ha oscenamente dato la colpa della sconfitta della Paita non alla Paita, ma al civatiano Pastorino. In realtà Pastorino ha casomai avuto la “colpa” di farsi la guerra con la 5 Stelle Salvatore – e la Salvatore ha avuto la “colpa” di far la guerra a Pastorino. Sarebbe bastato correre assieme, o lavorare affinché uno dei due facesse un passo indietro, per vincere in una regione chiave. So che i 5 Stelle non fanno accordi, e so anche che per i 5 Stelle Pastorino non è esattamente immacolato, ma nel frattempo ha vinto Toti. E le chiacchiere stanno a zero.
Non è un tema marginale, ancor più nella settimana che precede il ballottaggio in molti comuni. Capisco bene l’idea di fondo dei 5 Stelle: oggi il nemico da battere, il più pericoloso perché il più subdolo, è Renzi. E dunque il Pd. Quindi il Pd deve perdere ovunque, ma proprio ovunque. E’ anche il pensiero di molti elettori di sinistra. Si pensi al Veneto: molti, pur di non votare la Moretti, hanno votato Zaia. E così in Liguria. E così in molte città. Ci sono milioni di elettori che, pur di non votare Renzi, le sue droidi renzine e i suoi paninari invecchiati, si astengono o addirittura votano destra. Fatico a dar loro torto, ma spesso questi elettori neanche concepiscono l’idea di votare 5 Stelle. E nel frattempo vince la destra (o Renzi, che è poi la stessa cosa). E i 5 Stelle? In molti ballottaggi saranno decisivi. E’ legittimo non dare indicazioni di voto, ma – soprattutto nelle amministrative – c’è Pd e Pd. C’è un abisso tra Rossi e Moretti, come c’è tra Emiliano e la Paita. I 5 Stelle, però, rifiutano in partenza di fare distinguo. Accadde anche quando erano agli albori e dissero che in fondo anche i Pisapia erano uguali alle Moratti.
Qualche giorno fa, sul Fatto Quotidiano, Silvia Truzzi ha intervistato l’europarlamentare Curzio Maltese (Lista Tsipras). Maltese è stato molto duro con i grillini, sin dai primi V Day. I suoi articoli su Repubblica li ricordo bene, come ricordo gli insulti che mi presi (non da lui) quando sostenni – io come Travaglio e pochissimi altri – che a quei V Day c’erano tanti delusi di sinistra che chiedevano un’appartenenza e, non trovandola altrove, si erano avvicinati a quel fenomeno unico in Europa. A distanza di otto anni Maltese ribadisce di non avere grande stima per le derive destrorse di Grillo e Casaleggio, ma riconosce che gli europarlamentari 5 Stelle con cui lavora sono molto bravi e preparati. Racconta che non si sono lasciati condizionare dall’accordo (meramente strategico) con Farage e che combattono battaglie care un tempo) proprio alla sinistra. Maltese, che certo è partito da posizioni fortemente antipatizzanti nei confronti dei 5 Stelle, giunge a una conclusione persino banale: l’unica sinistra possibile, ma più che altro l’unica alternativa democratica a Renzi e Salvini, può essere solo quella che vedrà “sinistra radicale” e 5 Stelle in grado di dialogare. Nel mio piccolo lo scrivo da anni e sarà anche per questo che, ogni volta che c’è un ballottaggio chiave, i politici coinvolti mi chiedono di fare da “pontiere” tra sinistra e 5 Stelle: spiacenti, faccio un altro mestiere (e in ogni caso sopravvalutate il mio ascendente sugli elettori).
Occorre al più presto che questa gara a chi ce l’ha più lungo abbia fine. E’ tanto avvilente quanto stupida. Da una parte la sinistra radicale deve finirla con questo atteggiamento di superiorità morale, tenendo peraltro conto che – se nel frattempo la sinistra in Italia è morta o quasi – un motivo ci sarà. E magari è anche colpa di questa supponenza spesso smisurata. Dall’altro lato i 5 Stelle devono imparare quella cosa meravigliosa che si chiama “distinguo”. Gli altri non sono “tutti uguali”.
Un esempio per tutti: Venezia. Il candidato sindaco è Felice Casson. Non è immune da critiche: fa ancora parte di un partito con cui non c’entra nulla (ed è il primo a saperlo); in campagna elettorale si è fatto vedere a braccetto con Renzi, e non è stato un bel vedere; in squadra ha imbarcato personaggi che appartengono all’apparato del partito o (di contro) al renzismo più improbabile. Tutto vero. Casson è però anche quello che, in Senato, ha combattuto quasi sempre al fianco dei 5 Stelle. Casson – la cui storia di magistrato è nota – è anche quello che, proprio nel Pd veneziano, ha tanti nemici interni pronti a far cortei se lui perderà. E Casson è anche quello che, quando la Pinotti (quella degli F35) è andato a trovarlo, non l’ha voluta neanche incontrare. Casson non sarà l’eroe dei 5 Stelle, ma è molto meglio dell’improponibile candidato berlusconiano. Lo costringano a far sue alcune battaglie care ai 5 Stelle, lo mettano alla prova. Si beccheranno qualche insulto dai talebani duropuristi (gli stessi fenomeni convinti del sorpasso alle Europee nel 2014 e della inutilità della tivù), ma regaleranno a una splendida città un buon sindaco. Costringendolo poi, durante il mandato, ad allontanarsi definitivamente da Renzi e a combattere battaglie tanto giuste quanto finalmente condivise.