Contestazioni prima dell'inizio dell'incontro: i docenti chiedono il ritiro del disegno di legge sulla scuola in discussione a Palazzo Madama. Il segretario con i suoi cerca l'unità perduta e attacca le opposizioni: "Landini? Demagogia pura". E sulle riforme: "Ho i voti, ma pronti a discutere"
Fuori la protesta degli insegnanti che gridano “vergogna”, dentro Matteo Renzi alla ricerca dell’unità perduta dentro il Partito democratico. Avrebbe dovuto cercare una mediazione con la minoranza, ma è finito ad attaccare chi “si guarda l’ombelico” e non vede il risultato delle elezioni Regionali: “Riforma della scuola e del Senato? Ho i voti per approvarle domani mattina, ma siamo pronti a discutere ancora”. Il segretario Pd e presidente del Consiglio davanti ai suoi attacca le opposizioni e chi pensa solo alla critiche interne. “Più allegria e meno polemiche, più coraggio e meno discussioni interne”, dice il leader. “Io una campagna elettorale così cupa non l’ho mai vista”. E poi continua: “Se vogliamo discutere tra di noi facciamolo, ma occorre avere un codice di condotta interno, che va approvato, senza diktat. Quando c’è una questione di fiducia e voti contro, non accetto che gli stessi mi facciano la ramanzina sull’unità del partito. L’Italia ha bisogno di un Pd che faccia il Pd e che non perda tempo a decidere cosa votare come se fosse un menù alla carte”. E poi l’ultimatum: “La mia segreteria ha un senso solo se si fanno le cose. Chi volesse oggi bloccare questo percorso mi tolga la fiducia in Parlamento e in direzione, ma finché ciò non avverrà noi tutti i santi giorni che restano da qui al 2018 per il governo e da qui al dicembre 2017 per il Pd, rappresenteremo l’Italia a testa alta”.
Sul tavolo c’è il problema del dialogo con la sinistra del partito che guarda sempre di più all’esperienza di Gianni Pastorino che in Liguria si è candidato fuori dal Pd sostenuto dall’ex democratico Pippo Civati. Scelte che Renzi dice “non appartengono al nostro futuro”, tanto che sul nuovo progetto del segretario Fiom Maurizio Landini commenta: “La coalizione sociale è destinata ad essere sconfitta non solo dai numeri ma anche dalla logica. Landini fa più comparsate in tv di quante sono le persone che scioperano a Pomigliano. E’ demagogia pura”. E aggiunge: “Fuori dal Pd, da un lato c’è Grillo, dall’altro Salvini, dall’altro la coalizione asociale“. Renzi ribatte anche alle critiche di Stefano Rodotà sulla vicenda De Luca: “Non so quanto si intenda di garantismo”, dice, “penso si intenda molto di Prima Repubblica. Ma quello che lui chiama garantismo peloso io lo chiamo articolo 27 della Costituzione”.
I compromessi da fare sono sulle riforme e prima di tutto sul ddl Buona scuola in discussione ora a Palazzo Madama. Fischi, cori e striscioni all’ingresso accolgono chiunque varchi la sede del Nazareno, da Stefano Fassina a Piero Fassino fino a Ivan Scalfarotto e Roberto Speranza. Le decine di insegnanti chiedono di vedere Renzi: “No al ddl, siamo già pronti a raccogliere firme per il referendum abrogativo”. Eppure in sala, il presidente del Consiglio ribadisce: “Io non ho problemi di numeri. Se vogliamo approvare la riforma della scuola così com’è lo facciamo domani mattina, anche a costo di spaccare il Pd. Ma è importante discutere: prendiamoci altri 15 giorni, discutiamo anche in ogni circolo del Pd. Per me nessun problema”. A chi chiede di essere assunto perché rimasto fuori dalle 100mila assunzioni previste dal disegno di legge dice: “Noi la riforma la facciamo per i ragazzi, non per inserire un ammortizzatore sociale. Noi puntiamo ad assumere nuove persone perché servono agli studenti”. Un dialogo aperto, ma che resta breve nei tempi e limitato nei margini di manovra. Così per il ddl Buona scuola, ma anche per la riforma del Senato: “Siamo pronti ad una riflessione”, dice, “purché si chiuda con il referendum nel 2016 perché è lo snodo chiave della legislatura e rende più serio tutto il resto perché la legge elettorale ha un senso molto più forte nel momento in cui il Senato supera il bicameralismo”.
Nella scaletta di Renzi c’è anche naturalmente la valutazione dei numeri dopo il voto: “Queste elezioni”, dice Renzi, “suonano molti campanelli d’allarme. Però se vogliamo fare un’analisi vera e reale dobbiamo ricordare che nel 2014 il racconto che il Pd ha stravinto le elezioni vale per le Europee, ma non per le amministrative. L’anno scorso abbiamo perso Padova, Livorno, Potenza. Se volete possiamo fare un’analisi del voto sui numeri. Alle Europee a Livorno abbiamo preso oltre il 50 per cento, alle Comunali lo stesso giorno il 35 per cento”. Il leader Pd dice di non aver avuto nessun ruolo nella scelta dei candidati alle Regionali: “Nessuna delle sette candidature a governatore proveniva dalla mia esperienza di primarie, è stata fatta una scelta libera, la segreteria è rimasta estranea”. Renzi parla anche degli avversari e di un’opposizione di tre forze: “La destra è ancora viva, guidata da un leghismo di ritorno che non ha casa in Ue ma ne ha molta tra italiani e sferra l’attacco più insidioso su di noi sul tema dell’immigrazione. Ma in campo economico non è credibile e gioca la carta della paura”. Infine Grillo: “Da quella parte c’è un mondo che continua a votare per il Movimento 5 Stelle: è la terza forza, non più la seconda, del nostro Paese. Ed è nutrita dall’astensionismo”.