Doppia finale per Canale5: Amici al venerdì e la Champions con la Juve al sabato. Ovviamente un doppio trionfo. Più di sei milioni di spettatori (34%) per l’ultima del talent, col ritorno di Saviano. 11 milioni (il 47%) per lo 1 a 3 subito dalla Juventus, fra i patemi dei tifosi propri e gli sghignazzi di quelli altrui (a Roma a ogni gol del Barcellona risuonava un boato).
Talent musicali e sfide calcistiche vanno forte in ogni tv del mondo, tanto che neppure l’epidemia degli chef corrucciati ne intacca l’egemonia. Ma da noi, se non sbagliamo, hanno una presa del tutto particolare che rivela un vero “carattere nazionale” emerso col protagonismo delle masse, cioè di noi stessi, dopo la lunga, atavica subalternità culturale alle aristocrazie del sangue e della penna in un paese a lungo privo di ascensore sociale.
La musica, anzi la canzone col suo corredo di parole, fa “girare i sentimenti”, ha un motore femminile (le ragazze fino ai 24 anni hanno registrato il 60% di share, e non per caso Saviano a loro si è rivolto) ed è un fenomeno di propagazione di identità mediante la lingua della poesia (forse oggi Leopardi comporrebbe anche canzonette) per quanto melensaggini contenga. Che è esattamente quel che si conviene a un popolo più sentimentale che romantico, perché il romanticismo è un lusso dei potenti della terra, vigoroso nelle nazioni che se la sono spartita negli ultimi secoli (la “romantica donna inglese” non per caso è inglese), dove potevi anche permetterti di coltivare la forza dei tuoi slanci perché sapevi che dietro c’era anche una adeguata misura di vigore materiale.
Se invece sei in una condizione in cui l’importante è adattarsi, allora ti fai bastare il sentimento senza sentirti un protagonista del mondo (non sarà per caso che il romanzo nazionale letto e riletto nelle scuole non riguarda qualche italico Tristano con la sua Isotta, ma due contadini in impicci matrimoniali a causa di un pretino slombato).
Il calcio, lo diciamo da osservatori esterni, alimenta la “passione dell’appartenenza”, correntemente denominata “tifo” in misura massiccia da parte maschile (55%), ma non meno rilevante fra le donne più giovani (50%). Confermando l’impressione è, che il tifo sia una delle poche appartenenza a cui ci si concede di appartenere (mezzo secolo fa c’era il Pci e l’anti Pci, ma è acqua divenuta limacciosa e ormai passata) essendo abbondantemente vaccinati verso le più alte retoriche e lo sventolio di “nobili” motivazioni dell’agire.
Come a dire che siamo sì amanti delle chiacchiere, ma diffidenti verso i voli retorici, come dimostrammo quando col western all’italiana i nostri registi decostruirono gli Alan Ladd (Il cavaliere della valle solitaria) e i Gary Cooper (Mezzogiorno di fuoco), gli eroi senza macchia, per cospargere di macchie ogni personaggio, che neanche i leopardi nella savana.
Hai voglia a smacchiare.