Guerra del gas: il Medio Oriente in fiamme
La guerra del gas tra i maggiori esportatori procede senza tregua. Si tratta di un business che resta promettente, considerando che
i prezzi del gas sono destinati a salire, come sostengono gli esperti del settore. La situazione incandescente, sotto le minacce del terrorismo, potrebbe degenerare in ogni momento, ma questo non riguarda
solo la Libia, ma tutto il Medio Oriente: dall’
Algeria, primo esportatore di gas naturale in Europa, all’
Egitto, che esporta in Spagna, per non parlare di
Iraq e Siria che si trovano esattamente sulla linea dei gasdotti che vanno verso il vecchio continente.
Washington tempo fa aveva intuito che il gas del Qatar non sarebbe stato in grado di competere nel mercato europeo (principale consumatore e primo cliente di energia) aumentando così il potere e l’influenza della Russia, sopratutto dopo il consolidamento dei rapporti tra Russia e Cina. Così Washington, con la guerra in Afganistan, decide in un colpo solo di accerchiare Mosca, allontanare la Cina e isolare l’Iran, tre paesi con forti influenze su Baghdad, Damasco e Beirut.
Nel 2002 un patto tra Usa e il partito islamista turco Giustizia e Sviluppo porta Abdulah Gul ad essere il primo premier islamista in Turchia; passa poco tempo e viene annunciato il progetto del gasdotto Nabucco, nome ispirato all’opera di Verdi e legato all’Iraq, paese che viene invaso per ‘essere liberato’ solo dopo un anno.
Questo progetto mirava in realtà a trasformare la Turchia in un nodo di raccolta e transito di tutto il gas del Medio Oriente, mettendo Mosca fuori gioco, e controllando tutto il mercato mondiale per sempre. Un’accordo tra Atene e Mosca su un gasdotto comune è già una risposta iniziale.
Nabucco avrebbe dovuto raccogliere tutto il gas della regione per esportarlo in Europa, partendo dal porto turco di Ceyhan evitando la Grecia, nemica storica dei turchi. Doveva iniziare con 31 miliardi di metri cubi di gas fino ad arrivare a 40 miliardi. Il progetto sarebbe servito a facilitare l’ingresso della Turchia nell’Unione Europa, indebolendo la Grecia nella questione ancora aperta di Cipro occupata in parte dai turchi.
In Egitto nel 2012 ci fu la scoperta nella zona di Qasser di riserve di circa 2.3 trilioni di metri cubi di gas: la scoperta del secolo; le riserve dell’Egitto raddoppiavano attirando le due società petrolifere già partner degli egiziani Shell ed Eni con l’obbiettivo di investire circa 4 miliardi di dollari nel paese.
Un primo accordo sul gas egiziano fu firmato tra Erdogan e l’ex presidente egiziano Mubarak; le cose andarono anche meglio con l’ex presidente Morsi dei Fratelli mussulmani, ma la presa di potere di Al Sisi che dichiara i Fratelli mussulmani Organizzazione terroristica e accusa direttamente Ankara e Doha di sostenere e finanziare il terrorismo, interrompendo i rapporti diplomatici con loro, cambio tutte le carte in tavola.
Il caos in Libia riguarda direttamente l’Egitto, che ha in Libia circa 1 milione di lavoratori, e 1115 km di confini su cui si trovano i giacimenti di petrolio e gas che i gruppi armati legati ad AlQaeda hanno assaltato più di 20 volte.
Dopo la decapitazione dei lavoratori egiziani copti in Libia, arrivano le critiche ai raid egiziani di rappresaglia da parte del Qatar. Non tarda la risposta del Cairo, che accusa Doha e Ankara di appoggiare il terrorismo, affermazione che ha comportato il ritiro degli ambasciatori.
Un altro progetto ambizioso sarebbe il gasdotto che dovrebbe passare per la Siria, ed esportare in Europa il gas del Qatar (Exxon-Mobile) e il gas Saudita di Aramco. La scoperta, messa poi a tacere, di enormi giacimenti di gas sulle coste siriane e libanesi, fatta dalla società norvegese Ansis, poteva però cambiare i giochi.
Tutto andava verso la realizzazione di questi progetti, ma i veri ostacoli erano l’Iraq e la Siria, sia per loro posizionamento geopolitico, alleati di Iran e Russia, sia per loro natura nazionalista. Allontanare Teheran da Damasco è stata da sempre l’ossessione dell’Arabia saudita, insieme al Qatar, il più grande esportatore di gas naturale, sponsor dell’Organizzazione dei Fratelli mussulmani, e partner del partito islamista del presidente turco Erdogan.
Non ci sono in ogni caso alternative, collegamenti e gasdotti passerebbero attraversa il nord dell’Iraq e della Siria, zona ricca di pozzi di petrolio e giacimenti di gas, e guarda caso attualmente occupata dal cosiddetto Stato Islamico.
Dividere ognuno dei due paesi, in almeno tre cantoni su base religiosa, spaccando l’asse sciita, tagliando la strada all’Iran verso il Mediterraneo attraverso l’Iraq e la Siria, creando così uno Stato sunnita al nord della Siria, che garantisca alleanza forte e stabile proprio con la Turchia e l’Arabia Saudita. Le cose non vanno sempre come di spera: infatti un eventuale accordo tra Washington e Teheran, riporta in pista un importante concorrente e forte avversario, ecco perché viene ostacolato da tutti i nemici.
L’obiettivo è chiaro, gli strumenti pure: chi controlla la zona controllerà le riserve, i giacimenti, i gasdotti, e quindi chi venderà il gas all’Europa.