La Cenerentola di Cologno Monzese sta vivendo una inaspettata e nuova giovinezza. Tra Del Debbio e Costanzo, Nuzzi e Safiria Leccese, i dati Auditel del prime time premiano il nuovo corso visionario di una rete di "pancia e scienza"
Nel suo ufficio di Cologno Monzese, curato ma non asettico, dai toni cromatici caldi, la prima cosa che noti è una fila ordinata di action figure di supereroi: da Batman a Spiderman, ci sono quasi tutti, anche se il posto d’onore, al centro, è riservato a Buzz Lightyear, direttamente da Toy Story.
E forse si sente supereroe anche lui, Sebastiano Lombardi, direttore di Rete 4 da poco più di sei mesi e già osannato come l’uomo che ha risollevato le sorti della Cenerentola del Biscione. Programmi come Quinta Colonna, La Strada dei Miracoli, Maurizio Costanzo Show, Quarto Grado hanno regalato a Rete 4 una inaspettata nuova giovinezza, con risultati in prime time superiori alle attese. E mentre Rai Tre e Italia 1 arrancano, Lombardi è addirittura vicino al sorpasso. Se avvenisse, avrebbe del clamoroso. Ma per il momento non ci pensa, si gode il momento e racconta, con approccio moderno e a tratti visionario, i motivi di un’ottima annata.
Andiamo dritti al punto: come ha fatto?
La televisione richiede una costruzione lenta: è pancia e scienza, è artigianato scientifico. Sono molto critico nei confronti delle operazioni editoriali di forza da parte dei direttori, che a volte vogliono imporre la propria immagine di sé. Serve molta calma, domandarsi cosa hai voglia di dire e qual è il punto di attacco per il pubblico che hai naturalmente a disposizione.
Si arrabbia quando parlano di pubblico vecchio di Rete 4. Perché?
Mi arrabbio per un altro motivo, perché nella testa di chi scrive di televisione c’è l’associazione pubblico maturo = vecchio = scemo. Se faccio la tv per giovani faccio qualcosa che ha dignità, se la faccio per un pubblico maturo, puzza di garze e cloroformio. È profondamente irrispettoso.
Lei ha provato a pescare in altri target…
Ho cercato di fare una tv per un pubblico adulto, ma non con un linguaggio acquisito. Non puoi rivolgerti a un pubblico maturo raccontando un mondo di vecchi. Posso raccontare un mondo di passioni, di coinvolgimento e di prese di posizione, con modalità di accesso viscerali, meno mediate. I telespettatori di Rete 4 non sono morti.
Quinta Colonna è l’unico talk che cresce in prime time in un periodo di vacche magre. Ci aiuta a capire chi è Del Debbio?
È un uomo di enorme raffinatezza culturale, ma totalmente privo di presunzione intellettuale. Altri conduttori si preoccupano di rappresentare se stessi in rapporto alla comunità giornalistica. Lui no, si rivolge al pubblico. Il suo sforzo di popolarizzazione è consapevolezza del pubblico: dice parolacce, non usa congiuntivi, semplifica in maniera brutale. Non si pone il tema di uscirne bene ma di fotografare la realtà con gli occhi del proprio pubblico.
Non c’è il rischio di scadere nel populismo e nel trash politico?
Ribalto la questione: sono su Rete 4, sto parlando a un pubblico dell’Italia profonda, con strumenti culturali relativamente limitati. Compio un’operazione più onesta se faccio un tentativo pedagogico e mi perdo totalmente quel target o se trovo un canale di comunicazione adatto?
La vicenda dei falsi servizi è chiusa? L’unico responsabile era il giornalista allontanato?
Vengo dalle news, quindi conosco molto bene Raffaella Regoli, curatrice del programma: è scrupolosissima su ogni caso, anche quelli più banali. Se una notizia è vera, bene; se non è vera, non facciamo cazzate. Metto la mano sul fuoco sulla correttezza dell’approccio.
Un altro caso interessante è il Costanzo Show. Un prodotto “vecchio” torna su una rete che ha un pubblico più maturo. Risultato: Twitter esplode. Come se lo spiega?
La strategia mia e di Costanzo era semplice: il Costanzo Show è un programma di straordinaria modernità. Questa capacità di mettere assieme, contemporaneamente, gli estremi dell’intellettuale e del ridanciano, del profondo e del leggero, è metalinguistica, è digitale. Ma Costanzo ha una mente profondamente moderna nel corpo di un uomo di 76 anni. Va oltre il concetto di rete, di anagrafe, di prodotto televisivo come di una cosa chiusa, finita, con tratti bilanciati secondo i dettami del marketing.
La sua sembra una rete schizoide, che va su e giù tra quello che è sempre stato e quello che potrebbe diventare…
Non è progettato che sia schizoide. Io ho in mente un modo di parlare, e questo modo di parlare ha un accento che al pubblico profondo di Rete 4 arriva ancora poco. Non è un problema di intelligenza, ma di abitudine. Ogni tanto do uno strattone, vedo se ci sono e se ci sono resto lì. E infatti siamo cresciuti tra il pubblico tra 15 e 64 anni.
Un programma all’apparenza più tarato sul target è La Strada dei Miracoli. Serve per bilanciare le novità?
Ha tinte forti che a un pubblico molto evoluto possono dare fastidio, ma non è una scelta di conservazione. È un programma che ho voluto io, che sono di formazione laica, per una ragione laica. Rete 4 funziona quando trova un ingaggio profondo sul piano passionale con il pubblico. Da un punto di vista laico, La Strada dei Miracoli è LA domanda, IL conflitto all’origine dell’autocoscienza, della riflessione dell’individuo su di sé: il rapporto dell’uomo con la finitezza. Puoi credere o non credere, ma da lì ci devi passare.
Rai Tre viene da un’annata difficile, Italia 1 soffre. Non si sarà mica messo in testa di effettuare il sorpasso?
Fare una rete come Italia 1 è la cosa più difficile in questo momento: devi rivolgerti a un pubblico che non sai neanche se c’è. E ammesso che ci sia, lo devi andare a stanare casa per casa.
Detto questo, io mi sveglio al mattino sperando di vedere quel numerino crescere, ma non ho un bersaglio da raggiungere. Non ammazzo per un punto di share. Piuttosto, mi ammazzerei per non aver capito delle serate, quando capita. Io spero di far crescere Rete 4 a partire dall’identità del proprio pubblico. Se poi ne arriva di nuovo da Rai Tre, che ha fatto scelte più radical chic, sono contento.
Rete 4 vive senza format. Siete poveri e non potete permetterveli o è una scelta?
È una scelta e un orgoglio perché abbiamo la presunzione di saper fare televisione. Il nostro è autoprodotto puro: le riunioni che facciamo con Crippa, Brachino, Tiraboschi, Giordano, Delogu, Paolini, vanno da “Ma non sarà troppo scura la camicetta?” a “Quanto color correction serve su quel servizio”, dalla scelta dell’opinionista a quanto deve essere lunga la passerella de La strada dei miracoli.
Questo cura maniacale è merito suo? Rete 4 non era abituata a tanto perfezionismo…
Io e la vicedirettrice Cristina Veterano guardiamo tutto, ma davvero tutto, quello che va in onda. La cura è maniacale ma per me è il minimo per un canale che va in onda 24 ore. Non è eroico, ma bello. Quando esci con una donna di cui sei innamorato, una occhiata ai peli del naso te la dai o no?