Un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi. (Franz Kafka)
Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quelle che ho letto. (Jorge Louis Borges)
Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli. (Josif Brodskij)
Una casa senza libri è come una stanza senza finestre. (Marco Tullio Cicerone)
La poesia è nata prima della prosa. E prima ancora erano sorti i graffiti nelle grotte, i simboli, le lance la caccia, forse i dischi volanti impressi sopra volte, contro il selciato, incidendo il granito. Si disegnava per combattere la paura, per esorcizzare con piccoli tratti rendendo conosciuto e tangibile il mostro là fuori, che si chiamasse bestia o fulmine. Come oggi. Non è cambiato niente.
La parola e il disegno creano quell’impasto insieme infantile e artistico, vicino e pragmatico che non ti fa distogliere lo sguardo, non ti fa abbandonare la nave nemmeno se il Titanic va a fondo. Un incastro ipnotico che a teatro si è perso. E lo hanno capito Riccardo Goretti, attore ma più che altro condottiero partecipe di serate e timoniere delle sale, e Edoardo Nardin, l’hipster disegnatore e artista dalla barba pesante ed ingombrante con i suoi pennarelloni neri che paiono puros cubani appena usciti dalle manifatture, dai tratti certi, dalle punteggiature ondulate, dai contorni liquidi, dai piccoli particolari, dettagli inconfondibili, in questo nuovo-antico modo di portarsi in scena: “Vero su bianco”.
Goretti parla, racconta, affabula, intorta, mischia, legge, prende in prestito, articola, miscela, mentre alle sue spalle, o zigzagando per i tavoli del teatro trasformato in un cafè parigino, di tavoli tondi e poltrone comode, Edoardo Nardin girovaga alla ricerca di volti e visi, rughe d’espressione radiose, occhiali incerti, pettinature improbabili, rendendo su carta la giustizia dei fumetti che ci fanno tutti un po’ più dolci, meno aggressivi, più simpatici, meno arrabbiati.
Goretti più Nardin, la coppia funziona, l’unione moltiplica, la somma li espande, ingrossa la ciurma, tra la staticità delle letture e il movimento del disegno, tra il fluire delle sillabe e l’affondo (a tratti affronto) della sintassi e il fermo immagine di bozzetti e schizzi immediati e veloci. “Leggo per legittima difesa”, balbettava Woody Allen.
Li chiamano “disegni sussurrati per parole su tela” e le frasi dell’uno diventano alchimie di pesci e piovre, di pescatori d’asterischi bersaniani, trasformazioni in atto che se ti distrai un attimo un nuovo mondo è nato e hai perduto i punti di riferimento. Le sue linee e traccianti ricordano l’animazione del cartoon “Futurama”.
Goretti, abatjour, la valigia dell’attore degregoriana posata a terra e vino tinto a scaldare l’esofago, salta da Francesco Piccolo a “Bastogne” di Enrico Brizzi, prima di abbracciare l’amato totem Woody Allen (che passò una serata proprio qui al Teatro del Sale in occasione di un suo concerto fiorentino, era il 2008 e il suo strumento è il clarinetto).
Se Goretti è punk rock, Nardin ha un qualcosa da street art quando aggirandosi furtivo tra i tavoli “tatuaggia” animali e strani esseri sulle mani e le braccia della platea. Arriva Will Cuppy per chiudere con le due raccolte di racconti dello stesso eclettico Goretti, “Manuale pratico per non impazzire” e “Thanks all folks”, equilibrista di politicamente scorretto e commovenze, leggero dispensatore di sogni e squallidezze, neologismi fragili e vita quotidiana.
Intanto le illustrazioni di Nardin vanno a ruba (si possono prendere, rubare, come la vita strappata a morsi) così come i volumi che i due all’inizio hanno seminato per il teatro, libri usati da portare via e, forse, un giorno, leggere che “chi accumula libri accumula desideri, e chi ha molti desideri è molto giovane, anche a ottant’anni” (Ugo Ojetti).
Visto al Teatro del Sale, Firenze, il 21 maggio 2015.