“Dal letame nascono i fiori” recitava una splendida canzone di Fabrizio De André. Parafrasando queste parole così belle potremmo dire che da un terribile strumento di morte come le mine antiuomo, spesso di produzione italiana, possono nascere braccialetti, anelli, insomma dei gioielli che somigliano a dei fiori appunto. Questo piccolo miracolo si verifica da anni pressoché tutti i giorni in Cambogia, grazie al’impegno di una coppia vicentina, Igino Brian e sua moglie Lucia Bruni.
Entrambi cattolici praticanti, hanno fatto la scelta circa quindici anni fa di adottare un bimbo cambogiano che ora ha quasi vent’anni, Vattanak, e di aprire qualche anno dopo un laboratorio di oreficeria a Phnom Penh, capitale del tormentato Stato asiatico. “Quando siamo andati via con nostro figlio per tornare in Italia – raccontano – abbiamo pensato che questo nostro impegno non poteva finire lì di fronte ai gravi problemi di quella povera gente. Non ci bastava insomma di aver adottato un bimbo, volevamo fare di più”. Così, forte della sua professionalità, Igino, che a Vicenza fa appunto l’orafo, ha deciso di passare la maggior parte del tempo nella patria di suo figlio, che ora studia e vive nella città veneta con sua madre, con il fine di strappare dalla strada e dalla povertà decine e decine di giovani cambogiani e fondando insieme al laboratorio anche una casa-famiglia.
Questo Paese è noto nel mondo da un lato per le sue bellezze, una per tutte il sito archeologico di Angkor, e dall’altra per il suo drammatico passato fatto di bombardamenti americani durante la guerra del Vietnam, che provocarono circa 600mila morti, e per gli orrori perpetrati dal regime dei Khmer Rossi che dal 1975 al 1979 provocarono dai due ai tre milioni di morti. Il conflitto si è concluso definitivamente nel 1991 e da allora questo Stato popolato da circa 12 milioni di persone, che insieme al Laos e al Vietnam faceva parte della vecchia Indocina francese, si sta lentamente riprendendo ed aprendo al turismo.
Il tutto però in un contesto di sviluppo disordinato ed ineguale che partorisce da un lato una minoranza di ricchi e dall’altro una maggioranza di poveri che vedono perdere le poche cose che hanno nell’ambito di un progetto economico escludente e feroce. Per questo in tanti si affacciano nella scuola-laboratorio di Igino e Lucia. “Sfruttando lo nostre attitudini professionali – racconta Igino – nel 2004 abbiamo in un primo momento affittato un locale per aprire una scuola-laboratorio finalizzata a produrre bigiotteria d’argento, per poi acquistare successivamente un terreno sul quale abbiamo cominciato a costruire un nuovo ufficio dove lavorare e dove far vivere in particolare i giovani e i bambini con le loro madri. Dare l’opportunità di lavorare significa anche garantirsi di tenere i figli senza timore che qualcuno li tolga loro per poi non averne più notizie”. L’obiettivo della Idaonlus – è questo il nome dell’associazione della quale Igino è segretario e socio-fondatore, dal nome di zia Ida, scomparsa molti anni fa dopo aver dedicato la propria vita agli altri – è di rendere autonomi i ragazzi attraverso la realizzazione di una cooperativa.
“E’ impresa difficile far comprendere loro l’importanza di questa cosa – dice Igino – ma se riusciremmo nell’impresa potrebbero diventare autonomi e mantenere anche la casa-famiglia intitolata a Patrizia Brian che ospita i bambini.” L’attività di Idaonlus non è comunque limitata alla Cambogia. In Italia si fa promotrice di molte iniziative di solidarietà con il popolo cambogiano e di sensibilizzazione alla conoscenza della cultura di un Paese qui da noi poco conosciuto – non c’è per esempio una rappresentanza diplomatica khmer a Roma – lavoro favorito anche dalle tante famiglie che hanno deciso di accogliere nelle proprie case dei piccoli khmer. A cominciare da Igino e Lucia.