Cinema

Enzo Jannacci, al Biografilm un documentario per raccontarlo: “Era una popstar controcorrente per molti ragazzini”

Nel docufilm diretto da Ranuccio Sodi c’è l’uomo in tutte le sue sfaccettature, gli alti e bassi umorali, mentre “toccia” una banana nella Coca-Cola e se la mangia, i successi, le pause, gli sproloqui non sense, le massime folgoranti che hanno come apice l’infinito elenco del brano Quelli che… scritto con Beppe Viola. E poi chicche, inediti e immagini mai viste, come quelle sulla registrazione di un capolavoro come Silvano, con Cochi e Renato

di Davide Turrini

Enzo Jannacci c’è. Bisogna partire dal dettaglio per raccontare la prima assoluta del documentario Jannacci – Lo stradone col bagliore, diretto da Ranuccio Sodi, avvenuta al Biografilm festival di Bologna (5-15 giugno 2015). Paolo, il figlio di Enzo, che di questo film è nume tutelare e sentito accompagnatore, sia durante la proiezione che nell’incontro con il pubblico, indossava, toglieva, indossava di nuovo, toglieva di nuovo, o teneva stretta in mano, la giacca verde di papà: quella col colletto alto, di tela, la giacca Jannacci, da portare rigorosamente con camicione rosa aperto sul petto. Enzo Jannacci c’è.

Inedito, in bianco e nero, a colori, sgranato e translucido: in una pudica, delicata, intensa ricostruzione biografica che ne ha fatto l’amico, confidente, collega di lavoro, Ranuccio Sodi. Un “terun” toscano, il Sodi, che un po’ alla Luciano Bianciardi, si affaccia a Milano assieme ai tanti meridionali che rimpinguano di speranze, sogni e quotidianità grigio nebbia la capitale meneghina nei primi anni sessanta. Spazio quindi alla folgorazione per l’artista: “Era una popstar controcorrente per molti ragazzini che vivevano a Milano in quegli anni. La stessa mitizzazione che oggi si ha per Ligabue e pochi anni fa per Vasco Rossi”, spiega Sodi al FQMagazine.

Enzo Jannacci c’è. C’è il personaggio pubblico, quello che appare agli albori della tv a intonar versi straziati in dialetto milanese con quella voce spigolosa e sghemba, gli occhialoni enormi, e il microfono col filo lungo e bianco. “Ascoltavamo queste poesie stralunate sugli sradicati, i barboni, i nullatenenti, personaggi ai margini. In lui c’era questa interiorizzazione della miseria altrui che lo faceva soffrire tantissimo”, racconta Sodi.

Enzo Jannacci c’è. C’è l’uomo in tutte le sue sfaccettature, gli alti e bassi umorali, mentre “toccia” una banana nella Coca-Cola e se la mangia, i successi, le pause, gli sproloqui non sense, le massime folgoranti che hanno come apice l’infinito elenco del brano Quelli che… scritto con Beppe Viola. In uno dei tanti, inattesi, memorabili, spezzoni proposti nel documentario, il cantautore di origine pugliese, addirittura macedone, dice proprio così “Canto per scappare dalle troppe responsabilità”.

Enzo Jannacci c’è. C’è per Sodi quando a metà del 1977 viene chiamato dalla Rai per dirigere trenta minuti di un pout-pourri folle firmato da Enzo con il Gruppo Repellente proveniente dal Derby. Diego Abatantuono, Giorgio Porcaro, Mauro Di Francesco, Giorgio Faletti, Massimo Boldi sono La Tappezzeria: sketch comici, musical, “tra il living theatre e la fabbrica degli incapaci” spiega Jannacci nel film. Ed è qui che scatta l’inedito proveniente dall’archivio Sodi. Perché il terun toscano riprende in 16 mm, e con tutte quelle apparecchiature che all’epoca sembravano leggere, una quantità di girato senza fermarsi mai.

Così ne Lo stradone col bagliore – a proposito è il titolo di un brano mai scritto da Jannacci sull’Idroscalo – se ne vedono di tutti i colori con profonda invidia degli utenti Youtube. Perché ci sono immagini mai viste sulla registrazione di un capolavoro come Silvano, con Cochi e Renato a cancellare verbi e sostantivi per un brano memorabile; la spiegazione del brano Il Cane coi capelli, provino primigenio alla Rai del cantautore; ma anche momenti di solitario finale di partita nella casa milanese a “strimpellare” il piano spiegando Tenco e De André in pochi, confusi, ma fulminanti borbottii sinfonici. “E’ un work in progress questo documentario. L’ho iniziato a montare ad un anno dalla scomparsa di Enzo. L’ho voluto ricordare in tutti i suoi aspetti da quello poetico, a quello più sofferto”.

Enzo Jannacci c’è. C’è dentro all’Italia artistica dell’intrattenimento felice ed intelligente di quegli anni. Fo, Benigni, l’aneddoto sulla nascita di Vengo anch’io no tu no, frase rivolta a un “fascistello che disturbava durante un concertino”. Poi il grande “innamoramento” per Abatantuono attore; l’amicizia incrinata con Pozzetto (“un po’ d’invidia per l’improvviso successo commerciale di Renato l’aveva”, sorride Sodi); le serate passate col grande amico Mastroianni; il rapporto fraterno con Giorgio Gaber con cui iniziò da rocker assieme a Celentano e Tenco, e che spiega ironico nel film “Enzo aveva la voce antimusicale, era un gran cialtrone”. Enzo Jannacci c’è e ci sarà sempre, a cantare di miserabili che portavano scarpe da tennis “senza essere sportivi”.

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