Società

Mafia Capitale, le ‘zinne’ della lupa facevano latte per tutti

In quanto Antonino, Roma è mia città e mia patria; in quanto uomo, il mondo. Unico bene per me è quindi soltanto ciò che giova a queste due città. Così Marco Aurelio nei suoi Pensieri, durante quella che viene considerata una delle età più splendenti della storia romana. Certo, da allora come siamo caduti in basso! Della gloria della città non è rimasta traccia. Al posto dei privilegi che un tempo erano concessi dalla cittadinanza romana oggi godiamo dei disonori, delle difficoltà e delle sofferenze che lo status porta con se. Vivere a Roma ci obbliga a convivere con l’impotenza legata al dover guardare la città deturpata da corruzione e malaffare, straziata dall’immobilismo latente, stuprata dagli sciacalli. Sciacalli che lucrano sulla pelle degli ultimi con l’avallo dei potenti. Certo il sistema non si ferma a Roma ma a è qui che stabilisce il suo centro nevralgico dal quale allunga i suoi tentacoli su tutta la penisola, comportandosi come fanno le metastasi di un cancro. E’ paradossale che proprio a Roma, con la sua sempiterna vocazione universale e la sua capacità di accoglienza, siano stati molto probabilmente presi quegli accordi che permisero di aggiudicarsi e spartirsi il “business” dei migranti o di spremere la mammella di Expo 2015.

Se le alte sfere organizzavano dalla Capitale la loro grande abbuffata, occasioni di lucro e corruttela non mancavano per nessuno. Le ‘zinne’ della lupa facevano latte per tutti. La magistratura contabile ha accertato, dopo aver esaminato i documenti relativi al periodo 2009-2012, la presenza di debiti fuori bilancio, la conservazione di residui attivi non supportati da titolo giuridico e l’inadeguato accantonamento di somme dal fondo di svalutazione crediti che concorrono a creare un effettivo disavanzo di amministrazione di quasi 500 milioni di euro.

Nella “Relazione sulla verifica amministrativo-contabile a Roma Capitale” voluta proprio dal Sindaco Marino, non sono iscritti solo i peccati del sistema Alemanno ma gli ispettori nelle conclusioni finali attestano che “anche a seguito dell’insediamento dell’attuale consiliatura la situazione non appare migliorata, essendosi ripetuti i medesimi comportamenti registrati negli anni precedenti”. Il titolo “Capitale corrotta, nazione infetta” non potrebbe suonare più attuale. La corruzione è endemica, si infila in quegli spazi grigi della commistione tra pubblico e privato, tra gli interstizi del sempre meno efficiente apparato burocratico, nella “terra di nessuno” della gestione delle migliaia di gare d’appalto bandite per i più svariati propositi ogni anno.

Ecco il bovino da mungere colmando i propri secchi prima di macellarlo e mangiarne la carne. Finito il banchetto cosa rimarrà? Ad uscirne impietosamente non sono solo gli amministratori locali. Gli fanno buona compagnia l’imprenditoria “amica di” e l’apparato connivente oltre a quella parte di popolo che di questo campa. Sebbene non si possa far di tutta l’erba un fascio, di fronte a quanto emerso regnano senso di smarrimento, disgusto e angoscia. Già da tempo per le nuove generazioni è svanita la possibilità di sperare in un aumento del proprio tenore di vita rispetto a quello dei propri genitori. A sempre meno di loro è riservata la possibilità di trovare un lavoro dignitoso, capace di garantirgli le condizioni per lasciare la casa natia, metter su famiglia e rendersi economicamente indipendenti. Insomma, c’è qualcosa che non funziona. Il sistema è al collasso. Faticano i tentativi di stimolare l’economia, rilanciare la crescita e creare occupazione, come quelli volti al rinnovamento di una classe politica senza scrupoli. Fatica il risanamento delle finanze pubbliche che trova in queste faide maledette, in questi scontri tra bande consumati dentro e fuori dai partiti, fortissime resistenze. Se Roma non si salva, nemmeno l’Italia si salva e con essa trema quel che resta dell’Europa. Se dopo ciò che è emerso con Mafia Capitale Roma non diventa il laboratorio di una politica nuova, l’Italia non ha speranze. Se a Roma non si dimostra che certi sistemi per quanto potenti si possono abbattere e che la politica è ancora in grado di giudicare se stessa, allora si è davvero giunti al fondo del barile. Se per Roma non si mette in campo un nuovo grande progetto collettivo emigrare per i giovani resterà davvero l’unica soluzione praticabile. E se un tempo Roma capitale del mondo reggeva le redini dell’orbe rotondo, come recitava il verso inciso sul sigillo di Federico Barbarossa, oggi, nonostante la sua progressiva marginalizzazione e l’incapacità di trovare una nuova identità nella modernità, Roma resta sempre un luogo di cruciale importanza.