“L’importante è iniziare nella vita”. “Prima di tutto per me portare i bambini a scuola è un lavoro e la soddisfazione che sono contenti di stare con me. I bimbi mi chiamano zia e la mattina oggi ho un motivo per alzarmi ed essere felice”. “All’inizio era più la paura, mi dicevo che sono una trans, sarò vista male, però piano piano la gente si è abituata a vedermi. Anche io mi sono abituata al cambiamento, oggi mi alzo la mattina e la sera vado a dormire, come tutti”.
Sono solo alcune delle dichiarazioni di Alexandra fatte all’interno di una video-intervista realizzata insieme.
Alexandra, donna trans, ha quasi 50 anni. Vent’anni fa arrivava a Roma dalla Colombia, dove lavorava come parrucchiera. Le storie delle donne trans, forse potremmo dire come le esperienze di tutte le minoranze discriminate della società, si somigliano tutte, nonostante nel 2013 l’associazione degli psichiatri americani abbia scelto di modificare il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, cambiando proprio la definizione clinica del fenomeno transgender, che oggi da “disturbo di identità di genere”, per favorire l’integrazione nella società degli stessi, è considerato “una disforìa di genere” (disforìa, dal greco δυσϕορία «angoscia, pena» (der. di δύσϕορος «difficile a portare o a sopportare», comp. di δυσ- «dis-2» e ϕέρω «portare»).
Se è vero che Alexandra in Colombia lavorava come parrucchiera e che in Italia ha mangiato per vent’anni prostituendosi in strada, nel paese in cui non c’è una legge precisa a tutelare i diritti dei transgender (basti ricordare che il formale riconoscimento della loro identità all’anagrafe può avvenire solo dopo un’operazione completa chirurgica) è più importante – oggi – mettere in luce il suo percorso attuale, legato agli ultimi sei mesi di vita, vale a dire da quando Alexandra è entrata a vivere nell’occupazione di Tor de’ Schiavi, 101, dove è attiva una esperienza di autorecupero finanziata dagli occupanti stessi, sostenuta dall’Unione Inquilini e Rifondazione Comunista e dove, tra le 20 famiglie con 20 bambini, vive anche Julien.
Tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, con una delega Alexandra porta a scuola dieci bambini dai 6 ai 12 anni, poi li va a riprendere. La chiamano “zia” i piccoli e lei, alla soglia dei cinquant’anni, ha così potuto aprire una partita iva – con le perplessità con cui tutti lo fanno, senza distinzioni di sorta -, ma riceve un compenso mensile da parte dei genitori e ha così iniziato un percorso lavorativo differente. Dignitoso.
“Stiamo organizzando un’attività come un centro estivo all’interno dell’occupazione – spiega Rudy Colongo, responsabile dell’occupazione e presidente dell’associazione i Blu .- Alexandra ha la partita iva, a luglio e ad agosto terrà quindici bambini, cinque del quartiere, gli altri dieci sono dell’occupazione. Siamo in attesa del permesso del municipio. E’ stata fatta una domanda perché Alexandra tutti i lunedì possa portare i bambini alla piscina comunale”.
Quello che colpisce di questa storia è la sua collocazione. In un paese come l’Italia, dove i transgender sono tra le minoranze a cui vengono negati diritti e la società tende ad emarginarli, ad Alexandra la possibilità di riscattarsi, come quella di integrarsi, è avvenuta grazie alla solidarietà all’interno di un quartiere e, soprattutto, del gruppo di occupanti di una occupazione dove tutti gli spazi comuni sono condivisi tra famiglie colombiane, ecuadoregne, etiopi, italiane, peruviane, rom, rumene e dove grazie alla conoscenza di Alexandra, come individuo, le è stata data la possibilità, alla soglia di cinquant’anni, di intraprendere un percorso nuovo.
E’ l’epoca in cui in Italia chi perde lavoro a cinquant’anni pare essere destinato, non a percorsi nuovi di inclusione per restare attivo nella società, ma a preoccupanti percorsi di emarginazione con esiti spesso catastrofici, se non – qualche volta – addirittura mortali.
Dalla parte di Alexandra, dunque, la constatazione che i benefici che la stessa sta traendo per la sua vita personale non si possono scindere dal percorso collettivo, quale è quello dell’occupazione in cui vive, dove la solidarietà degli occupanti, nel caso specifico, e non trascurabile, sorpassa e ha trovato una via praticabile per coprire l’assenza dello Stato che troppo spesso, invece, consegna o condanna le minoranze alla sopravvivenza casuale del “vivere alla giornata”.
Esistono invece meritevoli realtà partecipate, la cui esistenza non sarebbe ragionevole né omettere né sminuire, alcune delle quali riescono a lavorare per la dignità dell’individuo attraverso percorsi di inclusione.
Sono sue le parole “Per tutto c’è un inizio, poi piano piano si vede cosa succede…” e oggi il grande cambiamento di questa donna trans è ri-iniziare da una vita dignitosa, in un contesto collettivo ben preciso, dove non è costretta a prostituirsi per mangiare, ma dove la mattina, quando si alza, è felice perché i bambini gioiscono di essere accompagnati a scuola da lei, per noi Alexandra, per i bimbi, la loro zia Mapuchina.
Isabella Borghese
Giornalista e ufficio stampa
Società - 10 Giugno 2015
Inclusione, il riscatto di una donna trans: vent’anni dopo accompagna i bimbi a scuola
“L’importante è iniziare nella vita”. “Prima di tutto per me portare i bambini a scuola è un lavoro e la soddisfazione che sono contenti di stare con me. I bimbi mi chiamano zia e la mattina oggi ho un motivo per alzarmi ed essere felice”. “All’inizio era più la paura, mi dicevo che sono una trans, sarò vista male, però piano piano la gente si è abituata a vedermi. Anche io mi sono abituata al cambiamento, oggi mi alzo la mattina e la sera vado a dormire, come tutti”.
Sono solo alcune delle dichiarazioni di Alexandra fatte all’interno di una video-intervista realizzata insieme.
Alexandra, donna trans, ha quasi 50 anni. Vent’anni fa arrivava a Roma dalla Colombia, dove lavorava come parrucchiera. Le storie delle donne trans, forse potremmo dire come le esperienze di tutte le minoranze discriminate della società, si somigliano tutte, nonostante nel 2013 l’associazione degli psichiatri americani abbia scelto di modificare il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, cambiando proprio la definizione clinica del fenomeno transgender, che oggi da “disturbo di identità di genere”, per favorire l’integrazione nella società degli stessi, è considerato “una disforìa di genere” (disforìa, dal greco δυσϕορία «angoscia, pena» (der. di δύσϕορος «difficile a portare o a sopportare», comp. di δυσ- «dis-2» e ϕέρω «portare»).
Se è vero che Alexandra in Colombia lavorava come parrucchiera e che in Italia ha mangiato per vent’anni prostituendosi in strada, nel paese in cui non c’è una legge precisa a tutelare i diritti dei transgender (basti ricordare che il formale riconoscimento della loro identità all’anagrafe può avvenire solo dopo un’operazione completa chirurgica) è più importante – oggi – mettere in luce il suo percorso attuale, legato agli ultimi sei mesi di vita, vale a dire da quando Alexandra è entrata a vivere nell’occupazione di Tor de’ Schiavi, 101, dove è attiva una esperienza di autorecupero finanziata dagli occupanti stessi, sostenuta dall’Unione Inquilini e Rifondazione Comunista e dove, tra le 20 famiglie con 20 bambini, vive anche Julien.
Tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, con una delega Alexandra porta a scuola dieci bambini dai 6 ai 12 anni, poi li va a riprendere. La chiamano “zia” i piccoli e lei, alla soglia dei cinquant’anni, ha così potuto aprire una partita iva – con le perplessità con cui tutti lo fanno, senza distinzioni di sorta -, ma riceve un compenso mensile da parte dei genitori e ha così iniziato un percorso lavorativo differente. Dignitoso.
“Stiamo organizzando un’attività come un centro estivo all’interno dell’occupazione – spiega Rudy Colongo, responsabile dell’occupazione e presidente dell’associazione i Blu .- Alexandra ha la partita iva, a luglio e ad agosto terrà quindici bambini, cinque del quartiere, gli altri dieci sono dell’occupazione. Siamo in attesa del permesso del municipio. E’ stata fatta una domanda perché Alexandra tutti i lunedì possa portare i bambini alla piscina comunale”.
Quello che colpisce di questa storia è la sua collocazione. In un paese come l’Italia, dove i transgender sono tra le minoranze a cui vengono negati diritti e la società tende ad emarginarli, ad Alexandra la possibilità di riscattarsi, come quella di integrarsi, è avvenuta grazie alla solidarietà all’interno di un quartiere e, soprattutto, del gruppo di occupanti di una occupazione dove tutti gli spazi comuni sono condivisi tra famiglie colombiane, ecuadoregne, etiopi, italiane, peruviane, rom, rumene e dove grazie alla conoscenza di Alexandra, come individuo, le è stata data la possibilità, alla soglia di cinquant’anni, di intraprendere un percorso nuovo.
E’ l’epoca in cui in Italia chi perde lavoro a cinquant’anni pare essere destinato, non a percorsi nuovi di inclusione per restare attivo nella società, ma a preoccupanti percorsi di emarginazione con esiti spesso catastrofici, se non – qualche volta – addirittura mortali.
Dalla parte di Alexandra, dunque, la constatazione che i benefici che la stessa sta traendo per la sua vita personale non si possono scindere dal percorso collettivo, quale è quello dell’occupazione in cui vive, dove la solidarietà degli occupanti, nel caso specifico, e non trascurabile, sorpassa e ha trovato una via praticabile per coprire l’assenza dello Stato che troppo spesso, invece, consegna o condanna le minoranze alla sopravvivenza casuale del “vivere alla giornata”.
Esistono invece meritevoli realtà partecipate, la cui esistenza non sarebbe ragionevole né omettere né sminuire, alcune delle quali riescono a lavorare per la dignità dell’individuo attraverso percorsi di inclusione.
Sono sue le parole “Per tutto c’è un inizio, poi piano piano si vede cosa succede…” e oggi il grande cambiamento di questa donna trans è ri-iniziare da una vita dignitosa, in un contesto collettivo ben preciso, dove non è costretta a prostituirsi per mangiare, ma dove la mattina, quando si alza, è felice perché i bambini gioiscono di essere accompagnati a scuola da lei, per noi Alexandra, per i bimbi, la loro zia Mapuchina.
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Seul, 23 dic. (Adnkronos/Afp) - Sono più di mille i soldati nordcoreani morti o rimasti feriti nei combattimenti contro le forze ucraine, dopo essere stati dispiegati a sostegno delle truppe russe, passati oltre due anni dall'avvio dell'invasione russa dell'Ucraina. E' la valutazione dei militari sudcoreani. "Stimiamo che le truppe nordcoreane, di recente impiegate in combattimenti contro le forze ucraine, abbiano subito circa 1.100 perdite", afferma lo Stato Maggiore Congiunto (Jcs).
La Corea del Nord sembra prepararsi a schierare altre truppe e a inviare equipaggiamento militare in Russia, probabilmente anche droni kamikaze, affermano i militari sudcoreani, come riporta l'agenzia sudcoreana Yonhap. Si ritiene che Pyongyang abbia inviato migliaia di truppe per sostenere le forze russe.
"Secondo una valutazione complessiva di varie notizie d'intelligence la Corea del Nord si prepara a una rotazione o a un aumento del dispiegamento di truppe (in Russia), mentre attualmente fornisce lanciarazzi da 240 millimetri - segnala tra l'altro lo Stato Maggiore (Jcs) - Ci sono anche indicazioni secondo cui (la Corea del Nord) si muove per la fabbricazione e la fornitura di droni kamikaze".
New York, 23 dic. (Adnkronos/Dpa) - Una persona è stata fermata dopo l'orrore delle scorse ore a New York, dove una donna, che apparentemente dormiva su un treno della metropolitana, è morta dopo che un uomo le ha dato fuoco. La polizia di New York ha confermato il fermo di un sospettato, identificato come originario del Guatemala, arrivato negli Stati Uniti nel 2018.
L'uomo si è avvicinato "con calma" alla vittima, che era seduta, e ha utilizzato - secondo la polizia - un accendino per dare fuoco ai vestiti che la donna indossava. E' stata questione di "pochi secondi". Il sospetto era seduto alla stazione ed è stato riconosciuto da tre liceali di New York dopo la diffusione di immagini da parte della polizia. E' stato trovato con un accendino in tasca.
Washington, 22 dic. (Adnkronos) - Il presidente eletto Donald Trump ha suggerito che gli Stati Uniti dovrebbero prendere il controllo del Canale di Panama, definendolo come una “risorsa nazionale vitale” e chiedendo a Panama di restituire il canale se i “principi, sia morali che legali” degli Stati Uniti che consentono a Panama di gestire il canale vengono violati.
Trump ha raddoppiato la proposta, lanciata per la prima volta sui social media ieri, durante un discorso all'evento Turning Point Usa a Phoenix, sostenendo che gli Stati Uniti hanno un "interesse acquisito" nel far sì che il canale venga gestito senza che Panama addebiti "prezzi e tariffe di passaggio esorbitanti" alle navi gestite da aziende e personale militare statunitensi.
"La nostra Marina e il nostro commercio sono stati trattati in modo molto ingiusto e sconsiderato. Le tariffe applicate da Panama sono ridicole, profondamente ingiuste, soprattutto sapendo la straordinaria generosità che è stata concessa a Panama, molto scioccamente, dagli Stati Uniti", ha detto Trump. "Questa completa truffa ai danni del nostro Paese cesserà immediatamente". "Se i principi, sia morali che legali, di questo magnanimo gesto di donazione non saranno rispettati, allora chiederemo che il Canale di Panama venga restituito agli Stati Uniti", ha continuato. "Quindi, funzionari di Panama, vi prego regolarvi di conseguenza".
Roma, 22 dic. (Adnkronos) - Martina, la studentessa fiorentina di 21 anni ferita con trenta coltellate dall'ex fidanzato a Oslo, in Norvegia, "non sarebbe in pericolo di vita". Lo ha detto all'Adnkronos la Farnesina, aggiungendo che "la famiglia è arrivata a Oslo ieri e che l'ambasciata segue la situazione da venerdì con la massima attenzione, prestando assistenza alla famiglia".
Roma, 22 dic (Adnkronos) - "Maria Ruggia è morta in ospedale, esattamente nell’ospedale Ingrassia a Palermo. L’hanno lasciata su una barella del pronto soccorso dal 10 dicembre al 18 dicembre. Solo il 19 è stata trasferita a Medicina Generale, quando stava già malissimo, il 20 è deceduta”. Lo scrive sui social Davide Faraone, capogruppo di Italia viva alla Camera.
“La figlia ha fatto una denuncia: suppone che potrebbe avere contratto un’infezione in ospedale perché è stata tenuta al pronto soccorso senza somministrarle adeguata terapia antibiotica preventiva, visto che si trattava di paziente fragile, esponendola a un ambiente sanitario non idoneo per troppo tempo, se ne capirà di più con le indagini. Una cosa però è certa", prosegue.
"Una paziente, ancor di più fragile, non dovrebbe stare 10 giorni in barella al pronto soccorso prima di essere trasferito in un reparto o in una clinica. E invece Maria ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita nelle stesse condizioni in cui sono costretti a stare i siciliani che hanno la sfortuna di finire in un pronto soccorso", dice ancora Faraone.
(Adnkronos) - "Lo abbiamo documentato con le foto, lo abbiamo testimoniato con i nostri blitz nei pronto soccorso siciliani, abbiamo chiesto interventi urgenti, ma nulla è cambiato, se non in peggio. Per il Presidente della Regione, Renato Schifani, va bene così e in Sicilia regna l’assuefazione, in attesa di scandalizzarsi per il prossimo morto al pronto soccorso”, conclude Faraone.
Roma, 22 dic. (Adnkronos) - "Appena avuta notizia dell'attentato di Magdeburgo, l'ambasciata italiana in Germania ha chiesto alle autorità locali se vi fossero coinvolti degli italiani. Ci è stato risposto che non risultavano cittadini italiani". Lo ha detto all'Adnkronos la Farnesina, parlando di Marco Forciniti - originario di Pietrapaola, in Calabria - "cittadino italo-tedesco, del cui ferimento - ha aggiunto il ministero degli Esteri - l'Unita di Crisi ha appreso dai media. Funzionari dell'ambasciata si sono recati presso l'ospedale per conoscere le condizioni di salute dell'uomo e fornirgli assistenza".
Washington, 22 dic. (Adnkronos) - Elon Musk "non diventerà presidente, questo ve lo posso dire. Ne sono sicuro, sapete perché? Non può esserlo, non è nato in questo Paese". Parlando ai sostenitori durante un evento a Phoenix, il presidente eletto Donald Trump ha affermato che il fondatore di Tesla - che è nato in Sudafrica - ha "fatto un lavoro straordinario" e ha respinto gli attacchi dei democratici che sostengono che Musk si stia comportando come un presidente 'de facto', dopo che la scorsa settimana l'imprenditore ha guidato con successo un tentativo di bloccare un disegno di legge bipartisan sui finanziamenti governativi.
"No, non prenderà la presidenza. Mi piace avere accanto persone intelligenti", ha detto Trump. "La nuova bufala è che il presidente Trump ha ceduto la presidenza a Elon Musk. No, no, non succederà".