“Una storia la dovevo raccontare. Questa. Tutte le storie vengono da un luogo lontano. Un posto dove siamo già stati tutti. Tutti”. La grandezza dello scrittore Aldo Nove è nella frase che arriva dal romanzo La Vita Oscena e finisce in fondo all’omonimo film. Tra quelle pagine, e da oggi anche in un film, c’è un gorgo di parole che si riverbera come un grido infinito di irriducibilità, delirio e fuga dalla realtà “normale” per il suo protagonista. La vita oscena, ovvero la biografia di Antonio Centanin/Aldo Nove, per la regia di Renato De Maria, dopo la prima nella sezione Orizzonti al Festival di Venezia 2014, viene distribuito dall’11 giugno 2015 da Film Vision nelle sale italiane. Il quinto lungometraggio in vent’anni del regista varesino (Hotel Paura, 1996; Paz! 2002; Amatemi, 2005; La prima linea, 2009) è la “riduzione” del romanzo autobiografico scritto da Nove, suo compaesano, in qualcosa di magmaticamente espressivo e visivamente ipnotizzante. “Il libro è così bello e visionario, anche se così doloroso e difficile da inseguire.
Ha una struttura drammaturgica che segue più le parole che il racconto”, ha spiegato De Maria dopo la prima veneziana. “Abbiamo preparato il film insieme con Aldo. Siamo partiti dalle parole. Abbiamo smembrato il libro, leggendolo tutto e sottolineando le frasi che ci interessavano. Abbiamo poi creato 12 canti come fossero capitoli e tolto tutto ciò che non ci interessava raccontare. La struttura del libro anche se si è dissolta nella sceneggiatura, l’ho fatta rimanere con la scelta stilistica di raccontare tutto con la voce off del protagonista. Ho come scelto di fare una sorta di film muto, di dare al racconto poetico la possibilità di far decollare le immagini”.
Rimasto solo per la scomparsa improvvisa del padre e la lenta agonia della madre malata di cancro, Andrea – l’attore Clément Métayer visto in Apres Mai (film premiato a Venezia 2012 come miglior sceneggiatura ndr) – intraprende un viaggio alla ricerca della morte: prima fa saltare in aria l’appartamento di famiglia, poi uscito dall’ospedale, e trasferitosi all’Università di Milano grazie all’aiuto economico di un grande poeta che ne ammira i suoi scritti, decide di suicidarsi con 17 grammi di eroina proprio come l’ammirato poeta Georg Trackl. Sdraiato sul pavimento di casa il ragazzo inizia un percorso allucinatorio in cui la visione drogastica si sovrappone alla realtà. In attesa di una fine che non arriva e non arriverà mai, Andrea incontra il sesso a pagamento in forme differenti inseguito dallo sguardo della madre morta. Solo in quella inconciliabile, intima dimensione, ritroverà il senso profondo della sua “vita oscena”.
“Nel libro ho trattato il mio materiale biografico più incandescente con attenzione chirurgica per ogni parola, nell’ossessione di rendere narrazione ciò che non è esprimibile, all’interno di un percorso di vita che ad ogni lettura si potesse rigenerare, mettendo a fuoco il male e poi spazzandolo via con la forza d’urto del linguaggio, dell’arte”, ha spiegato Aldo Nove. Poi è arrivato l’interessamento di De Maria: “Paz!” È il film italiano degli ultimi vent’anni che più ho amato. L’ho visto e rivisto e ne conoscono a memoria interi brani. Per questo incontrare De Maria è stata per me una grande emozione. Il nostro è stato un incontro di poetiche, di sensibilità filosofiche affini. Di fronte a questo film provo una grande gioia. La fedeltà ai miei intenti originari, quelli che mi hanno spinto a scrivere il romanzo “La vita oscena”, è assoluta, illuminante. Non è facile (ri)vedersi sul grande schermo, e proprio nei momenti più delicati della vita. Ma questo film lo fa con inaudita grazia”.
“Ho fatto in modo che il film nascesse con il mio lavoro, le mie risorse e la mia immagine”, spiega al FQMagazine Isabella Ferrari che nel film è attrice, ma soprattutto produttrice associata assieme a Gianluca De Marchi e Fabio Mazzoni per Film Vision, e Riccardo Scamarcio per Lebowski. 600mila euro di budget, l’aiuto del Mibac e soprattutto del tax credit: “E’ un progetto totalmente indipendente, a cui tengo molto: ogni successo che ha e avrà è una gioia, ogni sconfitta uno strazio. In Italia abbiamo perso lo spirito di rischiare nel produrre cinema d’autore – continua l’attrice, premio Oscar ne La Grande Bellezza – dobbiamo impegnarci tutti, anche noi attori. L’industria del cinema italiano oggi pensa solo agli incassi e non rischia mai. Invece il rischio bisogna prenderselo. Non è il solito lamento di chi ha visto mutare drasticamente l’industria cinematografica in 30 anni di lavoro: questo è il nostro mestiere, dobbiamo far crescere nuovi Garrone e Sorrentino che poi le loro soddisfazioni ai festival e negli incassi li danno eccome”. “La fatica è stata ulteriore – conclude Ferrari – perché un blasonato distributore che aveva acquisito il film a Venezia ci ha abbandonato da un giorno all’altro. Usciamo con una distribuzione totalmente autonoma, conquistata cinema per cinema, in 25 sale. Non abbiamo nemmeno le locandine stampate”.