Correva la fine degli anni ’50, c’era il boom economico del dopoguerra ed era appena nata la televisione. Fu allora che apparvero le risate finte del Perry Como Show. Perry Como, quello di “Magic Moments”, che cantava e presentava altri che cantavano. Ci andò anche, a cantare Granada se non erriamo, Claudio Villa, detto il reuccio di Roma (i consoli Buzzi e Carminati stavano solo nascendo).

Le battute erano sottolineate dalle risate del pubblico. Finte, cioè appiccicate alla colonna sonora originale del programma. Agli ingenui italioti, ancora inesperti di televisione, pareva strano perché estranei alla menzogna, ma perché quella gli pareva estraniante, a causa della dichiarata autenticità di quel falso. Il pubblico in studio non si vedeva mai, forse non c’era affatto, e lo stesso piatto sonoro delle risate e risatine contrastava con lo spessore delle canzoni e del parlato. Insomma, erano risate secche, come il baccalà, che non pretende di farsi passare per spigola.

Così, senza rendersene conto, l’Italia stava imparando il linguaggio del talk show, programmi architrave del palinsesto che altro non sono che scalette di interventi con annessi effetti di pubblico ovvero: piani d’ascolto (quando si vede uno che “segue” qualcun altro che si sente, ma non si vede), i dettagli delle posture e dei volti delle più telegeniche delle presenti e, infine, gli applausi, i veri protagonisti nel genere. Che si dividono in due tipologie: gli applausi degli accompagnatori di uno degli ospiti, e qui siamo alla recita del tifo; gli applausi dei figuranti e dei curiosi chiamati a popolare gli spalti, e qui siamo al puro effetto sonoro attivato da un cenno dell’assistente di studio (una figura che sta dietro le telecamere e che gli spettatori non vedranno mai).

Ovvio che questo mix di finto e vero serva a tenere desta l’attenzione dello spettatore televisivo, che si suppone distratto da mille cose e che alla fin fine può perfino apprezzare l’applauso appiccicato perché lo risveglia segnalandogli il compimento di un passaggio. E forse non disdegnerebbe neppure la risata finta che lo avvertisse che quella appena passata era una battuta. Il che finché siamo alle chiacchiere pomeridiane, ci può anche stare.

Ma il fioccare metodico degli applausi, dove nessuno potrebbe il compiacimento da convenienza o connivenza, suona strano quando scandisce i talk show politici, come se fossimo nella Repubblica degli applausi dove invece grandinano i fischi di tutti contro tutti. E come spiegava Aristotele già prima della tv, quando una contraddizione dilaga, scatta l’effetto del ridicolo.

Sarà per questo che seguiamo più facilmente le chiacchiere “in bolla” come da Lilly Gruber o da Lucia Annunziata, almeno fino a quando qualche genio dello show business non ordinerà di trapuntarle di risatine e battimani alieni.

P.S ieri Auditel riferiva che Formigli aveva ottenuto il 3,2%. Ma gli avevano appioppato anche il minore ascolto del programma che lo seguiva. In effetti la puntata sull’ISIS ha avuto il 3,6% di share, una differenza non da poco. Una buona notizia per chi pensa che la tv della politica dovrebbe partire dell’estero anziché fabbricare applausi per l’interno.

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