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Wait!, ti ordinano, Have a seat! Poi aggiungono: Mia bella gnocca – che dei miei predecessori romani hanno assicurato significare: Si accomodi, signora. Prego.
Nessuno, in realtà, ha un’aria particolarmente indaffarata. I funzionari siedono, o meglio, troneggiano, al centro di stanze enormi, dietro scrivanie di legno massiccio da presidente della Repubblica, ognuna con bandiera, penna d’argento e scatola di cioccolatini: e neppure un pezzo di carta. Un computer. Niente. Tra l’altro, sono tutti in divisa. Tutti militari: secondo i nuovi usi del Medio Oriente, per cui i militari stanno al posto dei civili e i civili al posto dei militari – a schiantarsi in mezzo ai cecchini e i barili esplosivi. “E quindi lei è una giornalista di guerra?”, mi chiede uno. “Ma davvero? Ma pensi un po’. Io che sono colonnello sto qui a fare l’impiegato, lei che è femmina e dovrebbe fare l’impiegata, sta lì a fare la guerra”.
“E come si sta, sotto un bombardamento? Racconti, racconti”.
E dunque entri, ogni volta, e spieghi tutto da capo. Tutta la tua vita, e tutta la questione curda, più domande sparse su Gaza, la Siria e la finale di coppa della Juventus: fino a quando il funzionario non trova un amico altolocato, un vicino di casa, una vecchia zia in comune con l’iracheno che è qui con te, e decide, naturalmente in via del tutto eccezionale e a titolo di favore personale, personalissimo, giusto perché magari sarebbe bello un giorno andare a Venezia, Lei ha per caso amici in ambasciata che potrebbero aiutare con il visto?, insomma decide finalmente di dettare tutto questo all’assistente, e affidarti a qualcuno di grado più elevato. Qualcuno che abbia l’autorità per decidere – decidere se sono in Iraq: se esisto o no. Ogni assistente scrive con grafia traballante, e evidenti dubbi di sintassi, interrotto da cento telefonate, cento battute e cento iracheni che si avvicinano ognuno a esporre il proprio caso, il pettegolezzo di quartiere, la ricetta degli involtini della cognata: mentre il tempo passa, intanto, e ho altri appuntamenti, altri impegni – mi aspettano in ambasciata, stamattina: ma ognuno ricopia il foglio, ognuno aggiunge una firma, ognuno mi offre il caffè, tranquillo. E mi rinvia al funzionario successivo.
Che mi dice: Broblem.
Il secondo broblem, infatti, sospesa un attimo la questione curda, è che a Roma ho avuto un visto di tre mesi, mentre qui sostengono che il massimo è un mese. Poi il broblem diventa che a Roma, a esaminarlo con la lente di ingrandimento, hanno usato un visto semestrale, e però indicando una scadenza trimestrale – e mentre mi domando cosa mai importi, dal momento che sono autorizzata a stare in Iraq fino a giugno, e quindi sono in regola, l’unica cosa rilevante sarebbe se il visto fosse scaduto, o irregolare, e soprattutto, mentre mi domando a cosa diavolo serve un timbro di uscita, continuo a rimbalzare da un ufficio all’altro, e a spiegare ogni volta tutto da capo, e ogni volta in una lingua diversa: perché siamo europei, e quindi è ovvio, conosciamo tutte le lingue europee: e ognuno mi parla in tedesco, in spagnolo. In polacco. Uno persino in cinese, perché tre anni fa lavorava a Shanghai. Fino a quando, dimenticato all’improvviso il broblem del visto semestrale con scadenza trimestrale, emerge il broblem che secondo le decine di fogli che ho intanto accumulato, sono francese. Perché ho in mano un passaporto italiano? “Francesca”, no?, significa francese. E questo è un broblem che richiede una supplica al capo supremo, all’ultimo piano, che mi squadra sospetto e mi chiede il nome di tutti i trisavoli – oltre a un breve parere su al-Qaeda, su Assad, sulle differenze tra Siria e Iraq, e tra le cozze baresi e il pesce del Tigri. E onestamente, non solo inizio a spazientirmi, con l’ambasciata che a quest’ora, avendo io consegnato il telefono giù alla security, mi ha di certo già dato per rapita, e sta già avviando un blitz delle teste di cuoio, probabilmente sta già torturando il proprietario di casa per costringerlo a confessare: no, non è solo che inizio a spazientirmi: mi innervosisco, e mi intristisco, perché vedo l’iracheno che è qui con me, e che ha due lauree, e da solo più neuroni di tutti questi funzionari insieme, e che però sta al gioco, e si piega, si umilia: perché sa che altrimenti non avrò mai il mio timbro.
Sa che l’unica, se sei iracheno, è abbassare la testa.
E la tristezza vera è che è molto più che l’umiliazione: è una cosa che avresti bisogno di Pasolini – perché è l’umiliazione, ma anche, allo stesso tempo, questa sorta di compiacimento: come se il regime ti lusingasse, in un certo senso, perché con questo sistema ognuno ha la possibilità di ostentare le proprie conoscenze. Il proprio status. Cioè: dopo due ore così, il mio iracheno è orgoglioso di avermi dimostrato che insieme a lui, risolvi qualsiasi contrattempo: è uno che conta – invece di pensare che ha perso due ore per un timbro che neppure dovrebbe esistere.
Perché poi viene fuori che il broblem, oltre al timbro di Erbil che ha impiastricciato tutto, e quindi hanno scritto la data di ingresso sbagliata e ora bisogna ricominciare tutto da capo, ricopiare tutto da capo, e oltre al broblem che ho i capelli sciolti, mentre nel passaporto ho i capelli legati, e non è sicuro che io sia la stessa persona, Perché?, mi chiedono costernati, come se oggi avessi le orecchie verdi, il broblem vero è che a Roma ho avuto un visto da giornalista. E a nessuno viene in mente che un’italiana con un visto turistico in Iraq, un’italiana in vacanza a Ramadi, sarebbe stata quanto meno singolare. Semplicemente, nessuno offre ulteriori spiegazioni. Broblem, broblem, mi dicono. Journalist, in Iraq: very broblem.
E inutile dirlo: l’unica, alla fine, è pagare sottobanco il possessore del prezioso timbro.
Mentre dietro di me, aspetta un ragazzo che somiglia a Sharif Kouddous. E penso a lui. A Robert Omar Hamilton, a Wael Abbas, gli amici egiziani, Alaa Abdel Fattah, Asmaa Mahfouz: gli attivisti da cui tutto è iniziato. Con i loro dottorati, la loro intelligenza, la loro creatività. Il loro coraggio. Perché possiamo inventarci tutte le frasi a effetto che vogliamo, in Occidente, possiamo scrivere: primavera araba, autunno islamico – possiamo sostenere tutti gli al-Sisi, tutti gli Assad, gli Erdogan, tutti i sauditi del mondo: non accetteranno mai di essere governati così.
La primavera araba, nonostante tutto, non ho dubbi: ricomincerà.
Travolgerà tutto questo.
Appunti dal mondo a km zero – ‘Broblem’ – Prima Parte
Francesca Borri
Corrispondente di guerra
Mondo - 11 Giugno 2015
Appunti dal mondo a km zero – ‘Broblem’ – Seconda parte
Wait!, ti ordinano, Have a seat! Poi aggiungono: Mia bella gnocca – che dei miei predecessori romani hanno assicurato significare: Si accomodi, signora. Prego.
Nessuno, in realtà, ha un’aria particolarmente indaffarata. I funzionari siedono, o meglio, troneggiano, al centro di stanze enormi, dietro scrivanie di legno massiccio da presidente della Repubblica, ognuna con bandiera, penna d’argento e scatola di cioccolatini: e neppure un pezzo di carta. Un computer. Niente. Tra l’altro, sono tutti in divisa. Tutti militari: secondo i nuovi usi del Medio Oriente, per cui i militari stanno al posto dei civili e i civili al posto dei militari – a schiantarsi in mezzo ai cecchini e i barili esplosivi. “E quindi lei è una giornalista di guerra?”, mi chiede uno. “Ma davvero? Ma pensi un po’. Io che sono colonnello sto qui a fare l’impiegato, lei che è femmina e dovrebbe fare l’impiegata, sta lì a fare la guerra”.
“E come si sta, sotto un bombardamento? Racconti, racconti”.
E dunque entri, ogni volta, e spieghi tutto da capo. Tutta la tua vita, e tutta la questione curda, più domande sparse su Gaza, la Siria e la finale di coppa della Juventus: fino a quando il funzionario non trova un amico altolocato, un vicino di casa, una vecchia zia in comune con l’iracheno che è qui con te, e decide, naturalmente in via del tutto eccezionale e a titolo di favore personale, personalissimo, giusto perché magari sarebbe bello un giorno andare a Venezia, Lei ha per caso amici in ambasciata che potrebbero aiutare con il visto?, insomma decide finalmente di dettare tutto questo all’assistente, e affidarti a qualcuno di grado più elevato. Qualcuno che abbia l’autorità per decidere – decidere se sono in Iraq: se esisto o no. Ogni assistente scrive con grafia traballante, e evidenti dubbi di sintassi, interrotto da cento telefonate, cento battute e cento iracheni che si avvicinano ognuno a esporre il proprio caso, il pettegolezzo di quartiere, la ricetta degli involtini della cognata: mentre il tempo passa, intanto, e ho altri appuntamenti, altri impegni – mi aspettano in ambasciata, stamattina: ma ognuno ricopia il foglio, ognuno aggiunge una firma, ognuno mi offre il caffè, tranquillo. E mi rinvia al funzionario successivo.
Che mi dice: Broblem.
Il secondo broblem, infatti, sospesa un attimo la questione curda, è che a Roma ho avuto un visto di tre mesi, mentre qui sostengono che il massimo è un mese. Poi il broblem diventa che a Roma, a esaminarlo con la lente di ingrandimento, hanno usato un visto semestrale, e però indicando una scadenza trimestrale – e mentre mi domando cosa mai importi, dal momento che sono autorizzata a stare in Iraq fino a giugno, e quindi sono in regola, l’unica cosa rilevante sarebbe se il visto fosse scaduto, o irregolare, e soprattutto, mentre mi domando a cosa diavolo serve un timbro di uscita, continuo a rimbalzare da un ufficio all’altro, e a spiegare ogni volta tutto da capo, e ogni volta in una lingua diversa: perché siamo europei, e quindi è ovvio, conosciamo tutte le lingue europee: e ognuno mi parla in tedesco, in spagnolo. In polacco. Uno persino in cinese, perché tre anni fa lavorava a Shanghai. Fino a quando, dimenticato all’improvviso il broblem del visto semestrale con scadenza trimestrale, emerge il broblem che secondo le decine di fogli che ho intanto accumulato, sono francese. Perché ho in mano un passaporto italiano? “Francesca”, no?, significa francese. E questo è un broblem che richiede una supplica al capo supremo, all’ultimo piano, che mi squadra sospetto e mi chiede il nome di tutti i trisavoli – oltre a un breve parere su al-Qaeda, su Assad, sulle differenze tra Siria e Iraq, e tra le cozze baresi e il pesce del Tigri. E onestamente, non solo inizio a spazientirmi, con l’ambasciata che a quest’ora, avendo io consegnato il telefono giù alla security, mi ha di certo già dato per rapita, e sta già avviando un blitz delle teste di cuoio, probabilmente sta già torturando il proprietario di casa per costringerlo a confessare: no, non è solo che inizio a spazientirmi: mi innervosisco, e mi intristisco, perché vedo l’iracheno che è qui con me, e che ha due lauree, e da solo più neuroni di tutti questi funzionari insieme, e che però sta al gioco, e si piega, si umilia: perché sa che altrimenti non avrò mai il mio timbro.
Sa che l’unica, se sei iracheno, è abbassare la testa.
E la tristezza vera è che è molto più che l’umiliazione: è una cosa che avresti bisogno di Pasolini – perché è l’umiliazione, ma anche, allo stesso tempo, questa sorta di compiacimento: come se il regime ti lusingasse, in un certo senso, perché con questo sistema ognuno ha la possibilità di ostentare le proprie conoscenze. Il proprio status. Cioè: dopo due ore così, il mio iracheno è orgoglioso di avermi dimostrato che insieme a lui, risolvi qualsiasi contrattempo: è uno che conta – invece di pensare che ha perso due ore per un timbro che neppure dovrebbe esistere.
Perché poi viene fuori che il broblem, oltre al timbro di Erbil che ha impiastricciato tutto, e quindi hanno scritto la data di ingresso sbagliata e ora bisogna ricominciare tutto da capo, ricopiare tutto da capo, e oltre al broblem che ho i capelli sciolti, mentre nel passaporto ho i capelli legati, e non è sicuro che io sia la stessa persona, Perché?, mi chiedono costernati, come se oggi avessi le orecchie verdi, il broblem vero è che a Roma ho avuto un visto da giornalista. E a nessuno viene in mente che un’italiana con un visto turistico in Iraq, un’italiana in vacanza a Ramadi, sarebbe stata quanto meno singolare. Semplicemente, nessuno offre ulteriori spiegazioni. Broblem, broblem, mi dicono. Journalist, in Iraq: very broblem.
E inutile dirlo: l’unica, alla fine, è pagare sottobanco il possessore del prezioso timbro.
Mentre dietro di me, aspetta un ragazzo che somiglia a Sharif Kouddous. E penso a lui. A Robert Omar Hamilton, a Wael Abbas, gli amici egiziani, Alaa Abdel Fattah, Asmaa Mahfouz: gli attivisti da cui tutto è iniziato. Con i loro dottorati, la loro intelligenza, la loro creatività. Il loro coraggio. Perché possiamo inventarci tutte le frasi a effetto che vogliamo, in Occidente, possiamo scrivere: primavera araba, autunno islamico – possiamo sostenere tutti gli al-Sisi, tutti gli Assad, gli Erdogan, tutti i sauditi del mondo: non accetteranno mai di essere governati così.
La primavera araba, nonostante tutto, non ho dubbi: ricomincerà.
Travolgerà tutto questo.
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Varsavia, 18 mar. (Adnkronos) - Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania vogliono ritirarsi dall'accordo internazionale che mette al bando le mine antiuomo, noto anche come Trattato di Ottawa. "Le minacce militari agli Stati membri della Nato che confinano con Russia e Bielorussia sono aumentate in modo significativo - si legge in una dichiarazione rilasciata dai ministri della Difesa di quattro Paesi - Riteniamo che nell'attuale contesto di sicurezza sia fondamentale garantire alle nostre forze di difesa flessibilità e libertà di scelta per utilizzare potenzialmente nuovi sistemi e soluzioni d'arma per rafforzare la difesa del vulnerabile fianco orientale dell'Alleanza".
Il Trattato di Ottawa del 1997 è sottoposto a crescenti pressioni a causa della guerra di Mosca contro l'Ucraina, mentre gli Stati in prima linea stanno rafforzando i loro confini con la Russia. All'inizio del mese, il primo ministro polacco Donald Tusk ha detto che la Polonia avrebbe iniziato a prendere misure per uscire dal trattato. I quattro Paesi avevano a lungo meditato un ritiro e volevano prendere una decisione regionale congiunta. Si tratta di un segnale politico per Mosca, più che del riflesso di un'immediata necessità militare, sottolinea Politico.
"Le decisioni riguardanti la Convenzione di Ottawa dovrebbero essere prese in solidarietà e coordinamento all'interno della regione. Allo stesso tempo, al momento non abbiamo piani per sviluppare, immagazzinare o utilizzare mine antiuomo precedentemente vietate", ha affermato il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur. All'inizio del mese, il capo di stato maggiore della difesa lettone, il maggiore generale Kaspars Pudāns, ha dichiarato a Politico che le priorità del Paese restano le mine anticarro e i proiettili di artiglieria. Il ministro della Difesa finlandese Antti Hakkanen ha affermato che anche Helsinki sta valutando la possibilità di abbandonare il Trattato, ma non è tra i firmatari della dichiarazione odierna.
Washington, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - Israele "deve immediatamente e completamente" cessare la colonizzazione nella Cisgiordania occupata ed "evacuare tutti i coloni". Lo ha dichiarato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk in un a nota, aggiungendo che "il trasferimento di Israele di parti della popolazione civile nel territorio che occupa costituisce un crimine di guerra".
Ankara, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - La Turchia ha definito l'ondata di nuovi attacchi di Israele a Gaza come "una nuova fase" della sua "politica di genocidio", affermando che il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ha sfidato l'umanità violando il diritto internazionale.
"Il massacro di centinaia di palestinesi negli attacchi israeliani a Gaza... dimostra che la politica di genocidio del governo Netanyahu è entrata in una nuova fase", ha affermato il ministero degli Esteri turco in una nota.
Washington, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk si è detto "inorridito" dalla ripresa dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, che hanno provocato molte vittime, e ha chiesto che "l'incubo finisca immediatamente".
"L'unica via da seguire è una soluzione politica, coerente con il diritto internazionale. L'uso di una forza militare ancora maggiore da parte di Israele non farà altro che accumulare ulteriore miseria su una popolazione palestinese che già soffre di condizioni catastrofiche", ha scritto Turk in una nota.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Il governo italiano - che per bocca di Crosetto evita accuratamente di attribuire la rottura della tregua al rifiuto di Israele di passare alla seconda fase dell'accordo che prevedeva il ritiro delle sue truppe e alla violazione della tregua con il blocco umanitario e continue attacchi - abbia il coraggio di condannare l'ormai evidente piano di sterminio di Netanyahu, chiedendo all'Unione europea di imporrare sanzioni economiche e diplomatiche a Israele, interrompendo ogni rapporto commerciale e finanziario, ogni consegna di fornitura militare e richiamando tutti gli ambasciatori europei come strumento di pressione diplomatica sul governo Netanyahu". Lo dicono i capigruppo M5s delle commissioni Esteri di Camera e Senato Francesco Silvestri e Bruno Marton.
"L'Europa che aspira a una sua autonomia strategica abbia il coraggio di smarcarsi dalla posizione degli Stati Uniti apertamente schierati con gli estremisti criminali che guidano Israele", aggiungono.
Milano, 18 mar. (Adnkronos) - "Vengo spesso interpellato dai media, in questi giorni, sulla nuova vicenda Sempio sulla quale non posso parlare perché la Procura non mi ha ancora abilitato al deposito della nomina al contrario, almeno da quanto leggo dalla Cassazione, sembra aver interloquito con la difesa Stasi". Lo precisa all'Adnkronos Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia di Chiara Poggi uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007.
Si tratta di un atto necessario affinché l'avvocato della famiglia della vittima possa costituirsi parte offesa nel procedimento che riguarda Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, indagato per omicidio. La Procura di Pavia, dopo una prima archiviazione, ha riaperto le indagini sul trentasettenne per un delitto che ha già portato alla condanna in via definitiva a 16 anni di carcere per l'allora fidanzato Alberto Stasi. Ora, senza quella nomina, la parte offesa - cioè i consulenti della famiglia Poggi - non potranno partecipare alla rilettura delle analisi sul Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi o sul dispenser portasapone del bagno dove, per le sentenze, si lava l'assassino.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "E alla fine il governo Netanyahu ha rotto la tregua. Le cose non accadono mai per caso, la scelta di Israele di bombardare di nuovo in modo massiccio un territorio devastato e raso al suolo come Gaza, dove con la tregua milioni di civili avevano per un attimo respirato, è l’ennesimo crimine di guerra di Israele". Lo ha detto Nicola Fratoianni a Radio Anch’io.
"E dico all’Europa, che in questi giorni è tutta ripiegata su stessa, che forse deve ricominciare da qui, perché quando Israele bombarda i palestinesi bombarda anche il diritto internazionale -ha aggiunto-. Quelle sanzioni che sono state comminate al regime di Putin in questi anni devono essere subito applicate al criminale Netanyahu e il trattato di associazione Israele-Ue immediatamente sospeso. È davvero insopportabile la complicità con chi si macchia di tali atrocità".