Piatti, poco professionali e spesso conditi da un inglese “maccheronico“. Sono i curriculum vitae degli italiani nel Regno Unito, scritti spesso senza pensare al fatto che sono proprio quei pochi fogli il primo biglietto da visita che può fare la differenza tra un buon lavoro e la disoccupazione. Teresa Pastena, fondatrice di Cv&coffee, azienda italiana che dal 2012 offre un servizio di consulenza e stesura di curriculum adatti al mercato britannico, di presentazioni completamente sbagliate ne ha viste migliaia e, nella maggior parte dei casi, gli errori degli italiani all’estero sono sempre gli stessi.
“La radice del problema è culturale – dice a ilfattoquotidiano.it – Noi intendiamo il curriculum vitae come un elenco piatto delle nostre esperienze lavorative, spesso esposte nel ‘formato europeo’: un elenco freddo e impersonale delle nostre esperienze che non aiuta il datore di lavoro a farsi un’idea del profilo lavorativo. Con il cv, invece, dobbiamo iniziare a creare il nostro brand. Cosa significa? Caratterizzarci su un mercato sempre più competitivo”.
Molte delle persone che chiedono l’aiuto di Pastena e del suo team non sono mai riuscite a superare la prima selezione e ad ottenere un colloquio dopo mesi di permanenza in Gran Bretagna. “Qui il cv ha grande importanza – spiega – e viene richiesto sia per le occupazioni più umili sia per lavorare per la regina. In un mercato così competitivo, se non riusciamo a distinguerci dalla massa, non accederemo mai a un colloquio”.
Non esiste, dice Pastena, un curriculum perfetto, ma ci sono elementi che non devono mai mancare. “Deve essere il più possibile originale, attrattivo e preciso, ma soprattutto deve essere professionale e deve mettere in evidenza le nostre peculiarità che possono contribuire al salto di qualità dell’azienda”. È su questo aspetto che gli italiani in cerca di lavoro in Uk devono puntare, il fulcro del loro curriculum: “Non è determinante il numero o il tipo di esperienze lavorative che si sono fatte – continua Pastena – , ma l’apporto che siamo in grado di dare. Deve essere messa in evidenza la nostra capacità di migliorare un’azienda, di portarla a raggiungere i propri obiettivi, indipendentemente dal fatto che si tratti di una delle più importanti multinazionali del mondo o di una ditta di provincia“. Quindi bisogna fornire “numeri, fatti e prove concrete. Questa – prosegue – è una nostra mancanza culturale: spesso, quando chiedo ai miei clienti in che modo hanno contribuito al buon andamento delle aziende in cui hanno lavorato non sanno rispondermi. Questo perché sono loro i primi a vedersi come un numero e a non dare valore al loro lavoro. Nel Regno Unito c’è una visione totalmente opposta”.
Mostrare carattere e professionalità e mettere in mostra i risultati ottenuti nelle precedenti esperienze sono i punti dai quali partire. Ma un cv ha bisogno anche di un layout, di una struttura grafica e un’organizzazione che lo rendano accattivante: “Niente foto, né data di nascita o altre informazioni personali – spiega Pastena -, solo il nome. Il cv deve iniziare con un testo di tre o quattro righe che riassuma le tue competenze ma, soprattutto, metta in evidenza le tue capacità e le tue peculiarità. Dopo questa presentazione, se si hanno almeno due o tre esperienze lavorative significative, è meglio iniziare con quelle, ancora prima della formazione. Non basta elencare i lavori svolti in passato, ma si deve descrivere il nostro ruolo e dimostrare il nostro apporto per il bene dell’azienda per cui lavoravamo. Inoltre, per ogni esperienza dobbiamo scegliere il giusto ‘job title’: non un termine generico, tipo ‘collaboratore’ ma un termine che descriva precisamente il ruolo ricoperto e l’ambito di lavoro. Solo dopo si può passare rapidamente alla formazione scolastica e, alla fine, agli hobby. Quest’ultimi possono essere utili, ma non devono essere generici. Inutile scrivere ‘lettura’, meglio scrivere Dostoevskij, non scrittura, ma spiegare che si cura un blog di poesie”.
Di curriculum completamente sbagliati Pastena ne ha visti tanti: “Ho già detto del formato europeo – conclude – usato ancora troppo spesso. Poi ci sono errori legati alla superficialità, come ad esempio il semplice nome che si dà al file di testo del curriculum. Alcune volte mi hanno inviato cartelle con nomi veramente strani. Per non parlare delle traduzioni improvvisate o delle presentazioni poco professionali, fino alle foto in modalità party. Qualche consiglio? Fate attenzione a queste piccolezze e imparate a vendere bene il vostro brand, la vostra professionalità”.
Twitter: @GianniRosini