E' durata 4 giorni l'agonia del 35enne operaio siderurgico dopo l'incidente in cui aveva riportato gravi ustioni sul 90% del corpo. Morricella muore nel giorno dedicato alle vittime sul lavoro, istituito nel 2003 per non dimenticare due operai - proprio dell'Ilva - travolti da una gru
È morto dopo quattro giorni di agonia Alessandro Morricella, il 35enne operaio dell’Ilva di Taranto investito da una violenta fiammata, mista a ghisa liquida ad elevata temperatura che si è sprigionata dall’impianto mentre effettuava le operazione di controllo della temperatura dell’altoforno. Dalla ricostruzioni effettuata finora, sarebbe stata soprattutto la fiammata ad aver trasformato Morricella in una torcia umana.
Il giovane lavoratore si era avvicinato al foro di colata dell’altoforno 2 per effettuare i prelievi finalizzati al controllo della temperatura della ghisa, ma invece della lenta fuoriuscita del materiale che scorre in un canale apposito, è stato improvvisamente colpito dalla fiammata. Alla base dell’incidente, probabilmente, un anomalo accumulo di gas. Il 35enne ha anche cercato di mettersi al riparo dietro una colonna ma era stato già investito in modo fatale sia dal fuoco che dalla ghisa incandescente. E anche su quest’ultimo incidente mortale la procura ionica guidata da Franco Sebastio ha aperto un fascicolo: l’accusa di lesioni gravissime registrata fino a poco fa si purtroppo tramutata in omicidio colposo per inosservanza delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il pubblico ministero Antonella De Luca, titolare del fascicolo, e il procuratore Sebastio hanno iscritto quattro persone nel registro degli indagati e disposto l’autopsia sul corpo dell’operaio. Subito dopo l’incidente, Morricella è stato condotto nell’ospedale SS. Annunziata doi Taranto e da lì al Policlinico di Bari dove è deceduto.
Morricella ha smesso di vivere il 12 giugno, giornata dedicata alle vittime del lavoro: una macabra coincidenza. Il 12 giugno 2003, infatti, sempre nell’Ilva di Taranto persero la vita Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre, uccisi dal crollo di una gru. Una tragedia finita nel dimenticatoio nazionale e ricordata solo in Vieni a ballare in Puglia, la canzone più famosa e forse più incompresa del rapper pugliese Caparezza. “Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perché può capitare che si stacchi e venga giù” canta l’artista di Molfetta. E a distanza di dodici anni da quel 12 giugno nella fabbrica di Taranto si continua a “ballare”. Ora “balla” anche Alessandro, che lascia una giovane moglie e due figli.
In una nota stampa i commissari Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba hanno espresso vicinanza alla famiglia e annunciato che l’azienda ”che ha aperto anche un’indagine interna, sta collaborando con la magistratura per accertare le cause dell’incidente”. Ma intanto Taranto conta la quinta vittima della fabbrica negli ultimi tre anni. Prima di Morricella, hanno “ballato” Angelo Iodice, Claudio Marsella, Ciro Moccia e Francesco Zaccaria. Morti bianche per le quali, secondo gli inquirenti, il mancato ammodernamento negli degli impianti è un “concausa non trascurabile”. E mentre questi operai “ballavano” il Governo sfornava decreti per salvare la siderurgia e Fabio Riva trascorreva 31 mesi di latitanza dorata a Londra per sfuggire al carcere. Ora spera nei domiciliari per la collaborazione offerta alle autorità italiane per essersi consegnato “spontaneamente”.