Per Paolo Buzzetti, presidente dell'Ance, il versamento dell'Iva da parte della pubblica amministrazione direttamente all'erario "è una misura anti-Pmi" che "sottrae risorse alle imprese danneggiando così ulteriormente un settore già fortemente piegato dalla crisi e dal credit crunch"
Dalla Commissione europea arriva per una volta una buona notizia per i conti pubblici italiani. Ma i costruttori edili riuniti nell’Ance non festeggiano affatto, anzi sostengono che il via libera allo split payment per il triennio 2015-2017 è un danno per migliaia di imprese. Al centro del contendere c’è il meccanismo contabile, inserito dal governo nella scorsa legge di Stabilità, che prevede il versamento dell’Iva da parte della pubblica amministrazione direttamente all’erario senza passare per le casse dei fornitori. Una norma che in teoria dovrebbe ridurre l’evasione. La novità però era condizionata all’ok di Bruxelles. Che è arrivato venerdì 12 giugno, scongiurando un nuovo buco da 998 milioni di euro dopo quello causato dalla bocciatura della reverse charge.
A seguito della notizia, però, sono scattate subito le proteste dell’Ance, che contro il meccanismo aveva anche presentato ricorso formale a Bruxelles. Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili, ha fatto sapere che si tratta di “un passo indietro rispetto all’attenzione dimostrata negli ultimi anni sul tema della liquidità delle imprese e dei pagamenti della Pubblica Amministrazione”. “Questo meccanismo – prosegue Buzzetti – non tiene conto dei ritardi stratosferici che ci sono già nei pagamenti della Pa e nei rimborsi dell’Iva contro i quali, noi come Ance insieme a tutta la filiera, ci stiamo battendo da tempo”. Secondo il presidente dell’Ance, “lo split payment è una misura anti-Pmi: sottrae risorse dovute alle imprese, pari a 1,3 miliardi di euro all’anno solo nelle costruzioni, danneggiando così ulteriormente un settore già fortemente piegato dalla crisi e dal credit crunch“.
Va detto comunque che l’esecutivo Ue ha dato il suo placet solo per un triennio. E ha previsto la non rinnovabilità dell’applicazione del meccanismo, obbligando lo Stato italiano a presentare un rapporto sui tempi medi di rimborso dei crediti Iva vantati dalle imprese. Il sistema proposto alla Commissione dal governo Renzi prevede che le amministrazioni pubbliche paghino al fornitore esclusivamente la somma dovuta per beni e servizi usufruiti, e invece versino l’Iva direttamente in un conto bancario speciale, che fa capo alle casse statali. “Attraverso tale schema – annota la Commissione -, l’Italia intende impedire le frodi dei fornitori che non pagano l’Iva alle autorità, problema che l’Italia ritiene di avere molto spesso”.