Si accoglie, si nutre, si cura. Ma la situazione alla Stazione centrale di Milano sta diventando insostenibile. Per i profughi stessi, prima di tutto. “Ci sono alcuni casi di scabbia, è vero. Ma queste persone portano addosso soprattutto i segni di un lungo e difficile viaggio”, spiega la dottoressa Maria Concetta Vivirito, impegnata da ieri presso il presidio mobile della Croce Rossa allestito all’ingresso della stazione. “Presentano dermatiti, ematomi dovuti alle condizioni di viaggio e eritemi solari”. E poi c’è quello che non si vede, quello che non sanno comunicare: “Sono psicologicamente provati, quasi tutti”, conclude la dottoressa, “e qualcuno i segni della sofferenza li porta addosso”. Come Abdallah, 23 anni dall’Etiopia, che si è fatto medicare le ferite delle percosse prese in Libia, dalle stesse persone che gli hanno fatto attraversare il mediterraneo per raggiungere l’Italia. Anche lui, come tutti alla Stazione di Milano, vuole raggiungere altre mete. La Germania, l’Olanda, anche l’Inghilterra. Ma non ha soldi. Così è anche per quasi tutti gli eritrei presenti. Attendono di riceverli, i soldi, o semplicemente che accada qualcosa. Intanto si sta qui: le donne e i bambini sistemati per la notte nei centri del Comune di Milano, che sono orami pieni. Ma in 350 hanno passato la notte all’interno della stazione. Perché il Trattato di Schengen è sospeso per garantire la sicurezza del recente al G7, e il Brennero rimane bloccato. Così anche chi potrebbe partire non può farlo. “Ci sono altri treni in arrivo da Catania, carichi di migranti”, spiegano i volontari della Fondazione progetto Arca, che gestiscono l’area della stazione dove sono accampati i migranti. “Stiamo cercando di trovare altre strutture che nel giro di un paio di giorni si trasformino in qualche altro centinaio di posti letto”, dice l’assessore alle Politiche sociali di Milano, Pierfrancesco Majorino. “Ma il governo deve dare delle risposte, quelle che abbiamo ricevuto ad ora non bastano. Milano ha ospitato più di 60mila persone dall’ottobre del 2013, ma siamo davvero al limite” di Franz Baraggino
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