Non se l’è sentita di pronunciare una sentenza per timore della nuove legge sulla responsabilità civile. Così ha rinviato tutto alla Corte Costituzionale. Protagonista della vicenda, raccontata dal Corriere del Veneto, è il magistrato Cristian Vettoruzzo che avrebbe dovuto prendere una decisione al termine di un dibattimento sulle responsabilità del locatario di un capannone, all’interno del quale erano stati trovati 47 quintali di sigarette di contrabbando. Per l’accusa è tutto chiaro: l’imputato va condannato a 2 anni. Per la difesa lo stesso: l’imputato va assolto. Il giudice si riserva per la decisione, ma a inizio maggio sospende il processo e spedisce gli atti alla Corte costituzionale. Nel processo, spiega, ci sono troppi “elementi indiziari” e così la valutazione di questi diventa “difficile e rischiosa in ordine alla correttezza dell’esito del giudizio”. Ed è in casi come questi, aggiunge il magistrato nell’ordinanza con cui ha trasmesso gli atti alla Consulta, che si “manifestano i riflessi negativi e costituzionalmente illegittimi della nuova disciplina delle responsabilità civile dei magistrati introdotta con la legge del 27 febbraio 2015”.
Il riferimento è appunto alla legge diventata definitiva 4 mesi fa sulla quale anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva auspicato un supplemento di attenzione per “valutare gli effetti concreti”. La legge prevede, in sintesi, la possibilità da parte dello Stato di rivalersi sul giudice che, “per dolo o per colpa grave”, nel corso del suo operato abbia danneggiato un cittadino. E questa nuova normativa, secondo il giudice Vetttoruzzo, rischia di “incidere sul principio del libero convincimento del giudice che, per essere indipendente, deve essere libero di valutare le prove, senza temere conseguenze negative a seconda dell’esito del suo giudizio”. Al contrario la disciplina scelta dal legislatore a febbraio prevede “come possibile fonte di responsabilità civile anche la valutazione dei fatti e delle prove” e quindi “mina il cuore dell’attività giurisdizionale”.
La conclusione, continua Vettoruzzo, come spiega il Corriere, è che “per forza di cose se sa che la sua attività di valutazione potrà comportargli una responsabilità civile per danni, il giudice sarà portato, quale essere umano, ad assumere la decisione meno rischiosa che, nel processo penale, è spesso identificabile nell’assoluzione dell’imputato”. Perciò rischia di essere leso il principio per cui “il giudice è soggetto soltanto alla legge”. Un concetto ribadito, ricorda il giudice, da una sentenza della stessa Corte costituzionale secondo la quale l’attività dei magistrati deve restare “libera da prevenzioni, timori, influenze che possano indurre il giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza”.
Per questo serve, secondo il magistrato, “reintrodurre la clausola di salvaguardia nell’azione di rivalsa esercitata dallo Stato nei confronti del magistrato”. L’altro elemento di illegittimità costituzionale, per il giudice di Treviso, è l’eliminazione del cosiddetto “filtro” alle richieste di risarcimento. Infine l’ultimo aspetto incostituzionale sarebbe la sanzione della “trattenuta”, in caso di rivalsa, di un terzo dello stipendio, mentre per gli altri dipendenti è di un quinto.
Sul punto, in giornata, è stato interpellato anche il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che intervistato da Radio Vaticana ha spiegato “che l’applicazione concreta e la giurisprudenza, che dovrà orientarsi verso un’interpretazione alla luce dei principi costituzionali, consentiranno di fugare molti dubbi” sulla responsabilità civile dei magistrati. “Mi auguro – ha aggiunto – che prevalga la cautela, come sembrerebbe stia prevalendo in questi primi mesi di vigenza della nuova disciplina nei cittadini, nelle parti, nell’avvocatura e anche la serenità nella magistratura”.