Cultura

Siruan, Finardi e del perché i rapper non sono cantautori (alcuni sì)

Siruan c’è. Partiamo da qui, come in certi cartelli stradali a beneficio dei tossici.

In musica, spesso, i generi musicali partono da un punto, fanno il giro completo e si ritrovano, a distanza di anni, esattamente al punto di partenza, a volte sotto forma di revival, altre, semplicemente, in forme evolute. Il rap, l’ultimo genere davvero rivoluzionario sorto sul volgere del Novecento, ha compiuto una buona porzione del giro su se stesso, e in molti stanno aspettando l’ultima sterzata, l’accelerata finale e poi, finalmente, il ritorno a casa madre. Chi scrive è tra questi. Non solo, o non tanto, per una sorta di ricerca di ordine, perché in musica a volte il caos produce le cose più interessanti. Solo, o tanto perché il rap, oggi come oggi, almeno da queste parti, sta producendo un sacco di musica davvero brutta. Ma brutta forte.

Partiamo dalla base, la musica black, da cui il rap è giocoforza nato, nel rap dei giorni nostri sembra essere uscita di scena. Nessuna presenza, nessuna influenza, niente di niente. Anche i messaggi, a dirla tutta, sembrano essere usciti di scena, con le batterie funky di James Brown e i campioni rubati a chi capita.

Il rap è un po’ il pop brutto degli anni Ottanta, oggi. Samantha Fox, per capirsi, senza l’ausilio delle gigantesche tette della cantante in questione.

Pop senza stile e senza contenuti, zero pathos e zero originalità. Chi infatti si dimostra originale, e capita davvero di rado, di solito non è un rapper, ma un artista che col rap flirta, come si fa al bancone di un bar con una ragazza particolarmente piacevole alla vista, non tanto, o non solo perché la si vuole portare a letto, ma perché sta lì e non farlo sembra quasi innaturale. Poi ci sono le eccezioni, e le eccezioni rispondono spesso al nome di vecchie glorie, di gente che già ha dato tanto, e ogni tanto torna a dare, o di chi ha sempre continuato a dare, con continuità, anche a rischio di diventare, nel tempo, realtà di nicchia.

Ma tutta questa lunga premessa, questa intro che occupa circa metà del pezzo, in verità (fatto che per chi segue il rap, invero, è non tanto, o non solo, una faccenda naturale se non dovuta), è per dire che tra queste eccezioni, a sua volta eccezione nelle eccezioni, c’è Siruan, rapper di Belluno che circa un mese fa è tornato nei negozi con la sua seconda prova solista: Finalmente musica.

E visto che le premesse, come le intro, non si trovano lì per caso, vi sarà già chiaro che Siruan è un rapper che va seguito, magari proprio a partire da questa sua seconda prova solista, proprio per il suo essere l’eccezione, rapper singolare, più che singolo, originale nel flow, nei riferimenti musicali, nel modo di appoggiare le parole una dietro l’altra, insomma, un rapper originale nel suo rappare e nelle cose che dice nei suoi rap.

Siccome questo post, un post che ambisce al ruolo di recensione, è in realtà mimetico con l’argomento che sta trattando, non tanto, o non solo per come incede, ma anche per la scelta e il susseguirsi dei periodi e delle parole, mi sembra chiaro, e così penso anche a voi, che sia già arrivato il momento di partire per un’altra tangente.

Oggi, proprio oggi che il rap è in realtà quanto di più lontano dal rap, e quanto di più vicino al pop, ma al pop brutto degli anni Ottanta, quello di Samantha Fox ma senza le tette, è un continuo proliferare, ovunque, di gente che si sente in diritto e in dovere di dire che i rapper sono i nuovi cantautori. Si fanno anche esempi, ma siccome voi siete dall’altra parte del pc o dello smartphone, e io vi voglio bene, eviterò di riportarli.

I rapper sono i nuovi cantautori, dicono. Come no. Niente di più lontano dal vero. Cioè, è vero che i nuovi cantautori non sono i nuovi cantautori, perché il confronto coi vecchi li ammazza in maniera anche troppo trucolenta, ma sicuramente i rapper non sono i nuovi cantautori, perché non hanno la stessa cura per le storie da raccontare, non hanno amore per le parole, ma per il dire le parole, al massimo, e perché, ripeto, manca completamente il messaggio.

Anche qui, lo sapete già, ci sono delle eccezioni. E anche qui, lo sapete pure questo, le eccezioni sono dovute a quegli artisti che in realtà rapper non sono, ma che flirtano col rap etc etc.
Siuran è uno che usa le parole con cura. Non solo, o non tanto per come le parole appoggiano sulla base. Non solo, o non tanto per come le parole risultano dotate di una propria sonorità. Ma anche, e soprattutto, per quello che le parole veicolano, il messaggio, le storie.

Non è un caso che, come spesso capita ai rapper, anche a quelli finti, Finalmente musica vanti ospiti di prestigio arrivati dal mondo hip-hop: dai lombardi Huga Flame a Inoki passando per Danti dei Two Fingerz e Caneda (perché se non ci metti anche uno scarso sta brutto, a volte).

Ma a spiccare, perché si può certo parlare di spiccare, è il nome di Eugenio Finardi, cantautore vero, cantautore vecchio (che i vecchi cantautori fossero i vecchi rapper?) ma sempre nuovo, che duetta con Siruan in una versione incredibile di ET, la nota Extraterreste.

A me, lo dico sapendo di innescare una bomba, Siruan, qui ricorda Gil Scott-Heron, e se non sapete chi è, beh, fate sempre in tempo a recuperare.

Un rapper rapper, un cantautore cantautore. Boom!