Alessandra e Camilla avevano voglia di prendersi una pausa dall’Italia. Sara, invece, cercava uno stile di vita più rilassato.
Per questo hanno deciso di andare dall’altra parte del mondo, in Australia. E ora sono tra i protagonisti del video-reportage “88 days nelle farm australiane”, promosso dalla Fondazione Migrantes e realizzato da Michele Grigoletti e Silvia Pianelli insieme al regista Matteo Maffesanti.
Il titolo prende ispirazione dal numero di giorni che servono per ottenere il secondo visto vacanza-lavoro che consente di prolungare per un anno la propria permanenza. Tre mesi in cui i ragazzi sono tenuti a lavorare in una zona remota, generalmente un’azienda agricola o una miniera. Il progetto, iniziato ad aprile 2015 a Griffith, nel New South Wales, raccoglie le storie di questi italiani tra i 18 e i 30 anni che hanno deciso di raggiungere l’Australia per fare dei lavori che nel nostro paese sarebbero considerati obsoleti.
I ragazzi stanno nei campi, mungono le mucche, raccolgono e smistano frutta e verdura. Impieghi che, tra le altre cose, comportano una notevole fatica fisica: “Volevamo capire le motivazioni che spingono questi giovani a provare l’esperienza della farm e dare una voce alla loro condizione”, spiega a ilfattoquotidiano.it Silvia Pianelli, che ha raccolto le testimonianze.
Dal reportage emergono tendenze contrastanti: da una parte c’è chi lamenta uno sfruttamento eccessivo della forza-lavoro, dall’altra c’è chi vive questo periodo della propria vita come una boccata d’ossigeno. “Ogni ragazzo vede quest’esperienza a modo suo – aggiunge –, d’altronde sono molti i fattori da tenere in considerazione, a partire dalla capacità di costruirsi una comunità o di far fronte alla nostalgia e alla frustrazione”.
Ma a dispetto delle difficoltà, sono sempre più numerosi quelli che chiedono il rinnovo del visto. Nel biennio 2013-2014 oltre tremila italiani (+77,5% rispetto all’anno precedente) hanno lavorato nell’agricoltura per completare gli 88 giorni. “Qui ai giovani viene concessa la possibilità di mettersi alla prova in ambiti diversi – spiega Pianelli -, in Italia se un adolescente sbaglia percorso di studi sembra legittimo fargliene una colpa”.
Ma non solo. Con quello che guadagnano spesso i ragazzi riescono a togliersi qualche sfizio: “Sia io che il regista abbiamo raccolto testimonianze di persone che a 23 anni possono comprarsi un’automobile e che sono riuscite a emergere nel loro lavoro contando solo sul talento e non sulle conoscenze”. L’Australia, dunque, sembra davvero una meta da tenere in considerazione: “Ti apre gli orizzonti e ti fa sentire incredibilmente giovane”, dice Camilla durante l’intervista.
Le difficoltà, però, non mancano e questa volta non c’entra la lontananza. “Alcuni ragazzi ci hanno parlato di condizioni igieniche pessime – racconta Pianelli -, anche se dobbiamo tenere a mente che noi italiani abbiamo standard piuttosto alti”. Poi ci sono i problemi sul lavoro: “Ci sono farmer che provano ad approfittarsi dell’alto numero di ragazzi che arrivano”.
L’Australia ti mette alla prova, ma al tempo stesso ti aiuta a crescere. Per questo il nostro Paese, visto da qui, sembra solo una scommessa persa: “Noi italiani siamo creativi, lavoriamo duro e abbiamo ancora la cultura della famiglia, che invece qui è meno forte – ammette Silvia -, ma il nostro paese è troppo individualista e si perde dietro ai suoi problemi”. Per vederne i lati positivi bisogna lasciarselo a oltre 15mila chilometri di distanza: “Vista da lontano l’Italia è un bellissimo ricordo, diventa quasi la proiezione di come la vorremmo”.
Aggiornato da Redazione Web il 7 dicembre 2015 ore 8.00