Lunedì 15 giugno, con un bed-in day in vetrina, si conclude a Milano La Lunga Giornata della Lentezza, tanto lenta da durare più di una settimana. A 9 anni dalla prima edizione, il tema sta crescendo, in Italia, ma non solo. Presa come una stravaganza ai suoi inizi, la lentezza, il rallentare, si afferma come un bisogno, sentito da tanti, un momento per alzare lo sguardo e capire da che parte andare. E’ impensabile credere di uscire dalla crisi generale, ma anche personale che molti vivono, accelerando in linea retta nella stessa direzione che ci ha portato dove siamo.
La lentezza è una costruzione quotidiana. Chi la abbraccia la dovrebbe estendere a tutti gli aspetti della vita, non basta non inquinare girando in bici, se poi siamo pronti all’insulto con tutti quelli che incrociamo, non è sufficiente essere vegani, se siamo assenti nell’educazione dei nostri figli. E’ una costruzione, come nell’amore cantato da Ivan Fossati, in cui ognuno porta il suo mattoncino, sapendo di appartenere a un movimento, ampio, giocoso, ma serio, che si ramifica e si raccorda, fatto di tanti pacifici ribelli che hanno abbandonato la paura di cambiare.
Così per la Giornata (in un centinaio di eventi) ognuno si da da fare nel proprio paesino, nella propria azienda, nelle grandi città, nelle scuole, per conquistare il diritto a vivere in modo più umano il proprio tempo. Dalle multe che comminavamo in Piazza San Babila a Milano alle persone che camminavano troppo velocemente, oggi due Università se ne occupano con lo Slow Brand Festival, coinvolgendo 50 aziende (La Cattolica di Milano) o con corsi Manageriali come Vivre plus Lentement per il Politecnico di Milano. Ognuno aggiunge il suo colore, la sua angolazione, come la AIPD (Associazione Italiana Persone Down) che aderisce ricordando il tempo di chi è costretto a vivere più lentamente o come la Città di Parma, che organizza un Festival.
Non siamo soli, Kristina Persson è il Ministro del Futuro in Svezia, impegnata a disegnare un Paese più moderno e solidale, con saggezza, senza dimenticare il bene comune. Non siamo nati solo per svilupparci, ma per essere felici, come ci ha insegnato Pepe Mujica, nel suo discorso al G.20, ma se esauriamo il nostro tempo lavorando e lavorando, con la scusa che dobbiamo farlo per il domani dei nostri figli, non saremo felici e perderemo il loro amore. Per esserlo dobbiamo smetterla di essere un pubblico da convegni o da concerti, diventare attori, protagonisti, dobbiamo riunirci, parlare, provare, provocare, ragionare, non per moda, per noi.