Un infuso ai lamponi e alla vaniglia. Senza lamponi e senza vaniglia. Ed ecco l’intervento della Corte di giustizia europea, che nei giorni scorsi ha ricordato un principio tanto elementare quanto frequentemente disatteso: “L’etichettatura di un prodotto alimentare non deve indurre il consumatore in errore suggerendo la presenza di un ingrediente che in realtà è assente dal prodotto”. Nella vicenda i giudici del Lussemburgo il 4 giugno si sono espressi su un’intricata questione giudiziaria che in Germania ha visto schierarsi su fronti opposti un’azienda alimentare e un’associazione di consumatori, in una sfida arrivata fino al terzo grado della giustizia tedesca e non ancora conclusa.

Al di là del caso specifico, la storia dell’infuso taroccato riaccende anche l’attenzione sul cosiddetto “Italian sounding“: la pratica, diffusa all’estero, di utilizzare confezioni che evocano prodotti alimentari italiani ma nulla hanno a che vedere con la tradizione del nostro Paese. La sentenza della Corte di giustizia potrebbe infatti diventare un importante precedente, un assist per le aziende alimentari italiane. Secondo il sito del ministero dello Sviluppo economico, il fenomeno vale un giro d’affari stimato in 54 miliardi di euro l’anno, pari a 147 milioni al giorno. Si tratta del doppio del valore delle esportazioni italiane di alimenti, che si ferma a 23 miliardi di euro. “Quindi, almeno due prodotti su tre commercializzati all’estero si riconducono solo apparentemente al nostro Paese”, conclude il ministero.

Il fenomeno vale un giro d’affari stimato in 54 miliardi di euro l’anno. Il doppio del valore delle esportazioni italiane di alimenti

In effetti, all’estero non manca certo la varietà di cibi italiani imitati più o meno maldestramente. Come non manca la fantasia. In principio fu il Parmesan, la versione tedesca del nostro Parmigiano reggiano. Insomma, in Germania non fanno solo gli infusi ai lamponi senza lamponi, ma chiamano anche parmigiano un formaggio prodotto a Berlino. Ma è stata sempre la Corte di giustizia europea, nel 2008, ad affermare che solo i formaggi con la denominazione di origine protetta (Dop) Parmigiano reggiano possano essere venduti con il nome Parmesan: questo termine, ha stabilito Lussemburgo, deve essere considerato un’evocazione del prodotto “autentico”.

Eppure i casi, in giro per il mondo, sono numerosissimi. Negli Stati Uniti il gorgonzola diventa Cambozola, l’asiago si trasforma in Wisantigo asiago cheese e c’è anche chi mette insieme tre diversi formaggi italiani: l’azienda Saputo cheese Usa vende un prodotto chiamato “3 cheese Italian“, che secondo la confezione contiene “Parmesan, Asiago and Romano cheese”. Un mix che ricorda il Lasandwich, la leggendaria creatura culinaria, commercializzata in Gran Bretagna, nata dalla fusione di lasagna e sandwich.

Passando ai salumi, il marchio americano Primo Taglio, nonostante il nome, offre prodotti che di italiano non hanno nemmeno l’ortografia: la soppressata perde una P e diventa “sopressata“, mentre il capocollo cambia sesso e si trasforma in “capocolla“. Un po’ come succede con la “palenta“, la versione croata della nostra polenta. Ma succede pure che il sounding sia tutt’altro che divertente, perché richiama stereotipi poco lusinghieri sul nostro Paese: dalla pasta Mafia all’amaro Il padrino, dalla salsa Wicked Cosa Nostra al caffè Mafiozzo, l’Italia è continuamente associata all’immagine del crimine organizzato. E c’è anche chi non nasconde la pratica dell’Italian sounding, ma anzi ne fa una bandiera. Come nel caso dello slogan di un formaggio olandese: “Per rendere il tuo pasto più italiano, scegli olandese. Parrano: il formaggio dall’Olanda, che si crede italiano”.

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