Da più di 10 anni si sente ripetere come un mantra devastante (non solo nella musica) che è “un momentaccio”. In realtà si tratta solo di una serie di mutazioni “genetiche” del mercato dovute al cambiamento repentino del modo di fruire la musica e i suoi contenuti. Il passaggio da fisico a liquido non è stato indolore e questa è la motivazione vera di una situazione di stallo dove i numeri sono penalizzati sia per le piattaforme digitali che per la tradizionale distribuzione e vendita del prodotto fisico.
Il mercato discografico (o discopatico) è in sofferenza da più di un decennio: i numeri sono davvero bassi, basti pensare alle classifiche che ancora per tradizione e poca conoscenza sono commentate attraverso la posizione in classifica ma andrebbero studiati solo con i numeri, cioè con l’effettivo venduto della settimana, volgarmente detto sell out.
A parte artisti consolidati (come Ferro, Jovanotti, Vasco) che continuano a macinare copie su copie e le bellissime intuizioni di programmi come Amici (ormai vero punto di riferimento per il pop italiano) che con Dear Jack, Briga e The Kolors (una band fortissima) riesce ad ottenere risultati che ricordano davvero la golden age della discografia, il resto fa davvero fatica ad uscire o perlomeno ad ottenere i risultati che meriterebbe in una situazione favorevole.
Sarebbe interessante (per capire di cosa stiamo parlando) esaminare le copie vendute, per esempio per scoprire che molto spesso addirittura due copie in più fanno guadagnare due posizioni. Sul digitale i numeri sono molto bassi; cinque album venduti su iTunes fanno scalare nell’immediato venti o più posizioni. A questo aggiungiamo che la gente, non solo i più giovani, è ormai abituata a caricare una playlist da YouTube e ascoltare gratuitamente tutto quello che vuole.
Lo streaming, che dovrebbe portare alla terza fase, cioè all’abbonamento come prima forma di guadagno e diffusione della musica, da noi è ancora un’utopia: gli abbonamenti e i numeri di piattaforme come Spotify (servizio eccezionale) sono in Italia intorno ai 50 mila all’anno. Non male, ma siamo ancora molto lontani da una vera rivoluzione streaming. Il passaggio alla banda larga per tutti in realtà dovrebbe significare una rinascita del mercato. Avendo così poche persone in percentuale che usufruiscono della banda larga, siamo costretti ad accettare proposte che vadano bene al grande pubblico della Tv generalista e delle radio con più ascolti.
Sono convinto che con l’agognato passaggio alla banda larga per tutti, il mouse supererà la tv e la stampa canonica. È quello che io chiamo MOUSEPOWER!
La prima volta che ho lavorato a un polo “autonomo” che potesse sviluppare progetti discografici con la forza di una major e la dedizione di una indie è stata nel 1992 con l’etichetta Cyclope Rec di Francesco Virlinzi. Siglammo un accordo con la allora Polygram (Universal Music adesso): io facevo anche l’artista, i compagni di scuderia erano Carmen Consoli, Mario Venuti e i Fleurs du mal. Ho sempre avuto il pallino di autogestire e di muovermi anche come battitore libero. L’anno scorso, dopo aver lasciato Universal per un’esperienza di produzione e management, ho ricevuto una proposta alla quale non potevo che dire sì: Universal mi ha proposto di costruire un polo indipendente nei movimenti ma dipendente a tutti gli effetti dalla major, un contratto di esclusiva con la libertà di firmare progetti nuovi, acquisire artisti per conto di Universal, sviluppandone le capacità attraverso un lavoro di Artist Development a 360 gradi. A questo si aggiunge il mio fiore all’occhiello, cioè la società editoriale (anche questa legata a doppio filo a Universal Music Italia). Go Wild nasce proprio con questa intenzione: sviluppare progetti con un procedimento da laboratorio artigianale. Partiamo dalle canzoni e dall’artista e cerchiamo insieme di arrivare alla pubblicazione e seguire tutto il percorso, dall’artista al prodotto.
Quest’anno a Sanremo, a parte Ultrasuoni, eravamo presenti con due artisti: Nesli tra i big e il grande Enrico Nigiotti tra i giovani. Credo fermamente nelle capacità artistiche e nella voglia di ascoltare cose nuove, ho un occhio di riguardo per le giovani realtà, anche se tra una settimana inizio la produzione di un album molto importante di Edoardo Bennato, con la partecipazione di alcuni cantautori storici come lui.
Ho lavorato con Modà, Emma, Nesli, Francesco Renga, Cristiano De Andrè, molti altri del pop mainstream, più una miriade di band e progetti legati al mio dark side, cioè il rock oscuro e indie europeo. Modà ed Emma sono molto simili artisticamente: Kekko è un grande autore di canzoni e uno straordinario frontman, Emma è una grandissima interprete con un energia come poche.
Entrambi sono supportati da una grandissima popolarità e hanno la grande possibilità di esprimersi al 100%. Sono contento di aver collaborato con loro per due album di enorme successo come Viva i romantici e Schiena 1 e 2.
Nesli è per me una cosa diversa, una scommessa, e ho un coinvolgimento artistico che va oltre il lavoro. Lui è un autore superbo, non ho mai incontrato qualcuno che avesse questa capacità innata di scrivere testi lasciandoti sempre a bocca aperta. Il lavoro su Nesli è più complicato ma ci sta dando grandi soddisfazioni. Sono contento dei risultati ottenuti, nonostante le difficoltà di un nuovo artista senza reti di protezione. A Sanremo era davvero un outsider e ritengo che sia uno degli artisti a tutto tondo con più possibilità in Italia. Mi aspetto da lui grandi cose, questo è solo l’inizio.
In Italia la gente ha ancora voglia di musica, di artisti, di concerti. Però io inizierei con il pubblicare meno prodotti. C’è troppa gente riesce ad entrare sul mercato. Il mercato è libero, per carità, ma con la musica bisogna selezionare dall’interno per evitare che 25 titoli a settimana creino un intasamento totale sia per il mercato fonografico che per la comunicazione.
Trovo che i talent siano molto democratici, mi piacciono proprio perché conosco la trafila. Amici, ad esempio, per me in questo momento è la vera casa discografica per nuovi talenti italiani.