"Da qui ogni settimana partono pullman carichi di disoccupati", dicono dal collettivo Aleph di Catania, che con un test vuole mettere a punto un modello per contrastare l'emigrazione dei giovani. Obiettivo: trasformare la Sicilia da 'trincea' a luogo di opportunità
Cervelli in fuga dal Sud Italia: come fermarli? Una domanda che in pochi finora si sono fatti. Politica inclusa. In tutti questi anni ci si è chiesti piuttosto: come si fa a partire? Dove è meglio scappare? Eppure dentro la prima domanda c’è la soluzione al problema dell’emigrazione che svuota le città del Mezzogiorno. Difficile, lenta, ma di sicuro c’è.
Un gruppo di ragazzi del Collettivo Aleph di Catania ha preso sul serio la risposta ancora prima di averla tra le mani. Forse è la prima volta che capita. Sono in venti, giovanissimi, dai 16 ai 28 anni. Lo scorso gennaio sono partiti con una ricerca dal basso per capire quanto incide in una persona il legame con il territorio nella scelta di partire o rimanere sull’isola. Il progetto si chiama #ioresto per #fareterritorio. “Non è solo uno slogan – dicono -, è soprattutto una convinzione a cui ci aggrappiamo ogni giorno e su cui vorremmo confrontarci”.
Collaborano insieme a loro due professori della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania, Gianni Piazza e Rosa Rossi. Una resa dei conti ha dato la spinta: “In un paio di anni cinque ragazzi del nostro collettivo hanno fatto le valigie – spiega Fabrizio Cappuccio, 25 anni, studente universitario che fa parte di Aleph -, due per l’Inghilterra, altri due per Bologna e uno per Trento, in cerca di lavoro o per studiare. Il dispiacere è inevitabile, ma non si può solo stare a guardare o lamentarsi che tutto va male. Bisogna darsi da fare per cambiare le cose”.
Così si sono messi a sondare il terreno. L’obiettivo è realizzare un modello di analisi esportabile in altre aree d’Italia per evitare l’emorragia di cervelli. Tre le fasi previste. La prima si è conclusa a fine maggio. Ha coinvolto 200 abitanti di sette città, piccole (Niscemi, Avola, Lentini, Marsala) e grandi (Catania, Palermo e Messina), attivi sul territorio: militanti in politica, membri di centri sociali, di comitati studenteschi o di quartiere, di associazioni di volontariato.
Per l’80 per cento emigrare è una scelta difficile, mentre decidere di lottare in Sicilia significa avere a cuore la propria terra. Come ha ammesso Giuditta Lo Tauro, 21 anni, nata e cresciuta a San Michele di Ganzaria, un comune di poco più di tremila abitanti, in provincia di Catania. Oggi studia Architettura a Palermo. “Se ho paura di non trovare lavoro? Certo che ce l’ho! Adesso i miei genitori mi pagano l’affitto ma dopo gli studi non potranno più farlo. Qui siamo costretti ad accettare lavori che non c’entrano niente con i nostri sogni, tipo il call center. Non so cosa mi riservi il futuro, so però che stringerò i denti, non me ne andrò da nessun’altra parte, è un impegno. Come me siamo in parecchi a pensarla così e fare squadra conta tantissimo, ti aiuta ancora di più a non mollare. Serve solidarietà tra di noi e speriamo anche dalle amministrazioni locali”.
Giuditta è un’attivista del centro sociale “Ex carcere”. Il suo compito è organizzare eventi culturali di quartiere. “Il centro gestisce una palestra popolare, uno sportello per la casa, il doposcuola, il calcio per i bambini, laboratori teatrali e assemblee cittadine”. Un altro resistente è Fabio D’Alessandro, 31 anni, giornalista di Niscemi, nella provincia di Caltanissetta. Da sette anni fa parte del comitato No Muos.
“Combattere contro il Muos (l’impianto satellitare militare Usa, ndr) è uno dei pochissimi motivi che mi tiene ancorato qui – racconta -. Credo nell’utilità di questa ricerca. Dal 2013 noi abbiamo perso il 70 per cento dei militanti, circa un centinaio, tra i 25 e i 35 anni, e ci siamo ridotti in venti. Molti si sono trasferiti in Svizzera e in Germania. Da qui ogni settimana partono pullman carichi di disoccupati. Robe da brividi, li ho visti, ho aiutato amici a portare i bagagli. Da qui se ne vanno intere famiglie, nonni compresi. I politici fanno finta di niente. Non abbiamo interlocutori, né nei Comuni né in Regione”.
La seconda fase, appena avviata, coinvolgerà almeno 400 soggetti a cui viene chiesto di compilare un test. Età, sesso, città di provenienza, titolo di studio, guadagno, partecipazione a manifestazioni, proteste, mezzi di informazione preferiti, legame con la parrocchia, partito politico, associazione culturale, lgbt, sportiva, ambientalista, di beneficenza, o sindacato: sono i quesiti presenti. L’ultimo step invece riguarderà gli emigrati negli ultimi cinque anni. Per un bilancio: la fuga è stata all’altezza delle aspettative iniziali? Pentiti o soddisfatti del trasferimento? La raccolta dei dati si concluderà a gennaio 2016. Dopodiché si darà spazio alle idee per trasformare la Sicilia da trincea per resistenti a luogo di opportunità.