Fassina: “Su scuola e lavoro una parte dell’elettorato ha rotto con il partito”. Il dissidente Zoggia: “L’astensionismo ha penalizzato soprattutto noi”. Tra i democratici nessuno indica la frana giudiziaria come causa principale della cattiva performance. Anzi, i renziani difendono il proprio leader. Fiano: "I dati economici iniziano ad essere positivi". Rosato: "Non servono cambiamenti, avanti con le riforme»
Niente da fare, anche i ballottaggi delle comunali confermano il trend negativo per il Partito democratico. Che, dopo l’emorragia di voti alle Regionali, è costretto ad incassare un’altra battuta d’arresto nei comuni capoluogo. Dalle Alpi alla Sicilia (vedi debacle di Crisafulli ad Enna), passando per i KO subiti ad Arezzo e a Venezia. Comuni emblematici, dove in corsa per la carica di sindaco c’erano due esponenti del Pd agli antipodi: un renziano di ferro nella città del ministro Maria Elena Boschi come Matteo Bracciali e un big della dissidenza dem del calibro di Felice Casson nel capoluogo veneto. Posizioni diverse stesso risultato. Una sconfitta che parlamentari e dirigenti del Pd non fanno fatica ad ammettere, sebbene con toni e sfumature diverse. Si va dall’evocazione della «rottura con l’elettorato» da parte del dissidente Stefano Fassina, alla necessità di «intercettare di nuovo gli elettori che hanno permesso di raggiungere il 40%» sulla quale incentra la sua analisi la responsabile Comunicazione (renziana) della segreteria dem, la deputata Alessia Rotta. Ma chi sono i colpevoli di questa battuta d’arresto? E come se ne esce? Sul banco degli imputati finiscono il premier Matteo Renzi e la sua politica, a cominciare dalle due riforme più indigeste al popolo di sinistra: il Jobs Act e la Buonascuola. Additate dalla minoranza dem tra le principali cause della disaffezione dell’elettorato. Grande assente nella rassegna delle cause del mezzo disastro elettorale, la questione morale che, salvo qualche timido accenno a Mafia capitale fatto dalla stessa Rotta, non sembra proprio in cima ai pensieri degli esponenti democratici.
GOVERNO ALLA SBARRA Sentito da ilfattoquotidiano.it parla senza mezzi termini di «fallimento del renzismo» il senatore Corradino Mineo. «Renzi segue la logica del voler avere tutte le deleghe per governare, promettendo di cambiare il Paese – argomenta il parlamentare della minoranza dem –. Ma poi non riesce a controllare le dinamiche reali, come il caso immigrazione che gli è esploso in mano. Di fronte a una situazione del genere, perché l’elettore dovrebbe andare a votare?». Stefano Fassina punta il dito contro le politiche del governo su una serie di temi chiave. L’ex viceministro dell’Economia non è affatto tenero nel commentare la sconfitta: «Una parte significativa del popolo democratico ha rotto con il Pd. Questo è avvenuto sulla riforma del lavoro e della scuola ed è una rottura profonda. I nostri elettori preferiscono restare a casa». Insomma, «i problemi sono tanti» e hanno confermato «il messaggio che è emerso a partire dalle elezioni in Emilia Romagna con la disaffezione verso il voto». Analisi che, sempre dai banchi della minoranza, il collega Davide Zoggia sottoscrive: «I dati nazionali segnalano un Pd in difficoltà. Il tema della scuola ha fatto perdere molti voti. Infatti il dato dell’astensionismo alto colpisce soprattutto il Pd: è un fatto che deve far riflettere. Dobbiamo riportare la gente al voto, è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare». Poi c’è anche la questione 5 Stelle sul tavolo. «Ai ballottaggi gli elettori del M5S preferiscono punire il presidente del Consiglio, votando per gli avversari del centrosinistra», aggiunge sconsolato Fassina.
DIFESA RENZIANA Quindi tutta colpa di Renzi? A sorpresa, Mineo ammette che le responsabilità vanno condivise anche dalla minoranza dem. «Perché non rappresenta una reale alternativa, sembra più dedita a sabotare che a costruire una proposta diversa da quella di Renzi», accusa l’ex direttore di RaiNews24. Emanuele Fiano, responsabile (renziano) Riforme istituzionali, è naturalmente ancora più duro verso la sinistra del partito: «L’immagine di divisione mostrata in alcuni passaggi parlamentari non porta certo consenso». I fedelissimi del premier cercano anche di mitigare la sconfitta, soffermandosi sulle poche vittorie simboliche, come quella di Mantova. Il risultato è letto in un’ottica meno critica per esempio da Alessia Rotta: «Rifiuto l’idea che sia stato un voto sul governo perché ci sono le dinamiche locali da valutare. Certo, non dico che vada bene così – ammette la parlamentare renziana –. Ma invito anche a valutare il contesto in cui si è votato tra Mafia Capitale, emergenza profughi e polemiche sugli Impresentabili. Finire 10 a 10 dal 12 a 8 di partenza non è negativo». Certo, perchè poteva finire anche peggio vista la frana morale che il partito sta accusando per gli scandali. Ma sulla questione, a parte il timido accenno della Rotta, la tendenza è quella di glissare, quasi non fosse un problema prioritario. Anche Fiano preferisce infatti parlare d’altro ostentando addirittura soddisfazione per i risultati. «In Lombardia il centrosinistra governa tutti i Comuni capoluoghi, tranne Varese», spiega. Anche se, alla fine, il deputato renziano è costretto comunque ad ammettere la sconfitta: «Bisogna prendere atto che la destra non è morta».
DIAGNOSI E CURA Fatte le diagnosi, per quanto diverse e contrapposte, resta da sciogliere il nodo delle cure da somministrare ad un Pd in cui, dopo il plebiscito delle Europee, il renzismo inizia a dare segni di crisi. Eppure, a sentire un autorevole esponente della maggioranza dem, il vice capogruppo alla Camera e fedelissimo del premier-segretario, Ettore Rosato, non sono in agenda cambiamenti. E neanche riflessioni sulle inchieste giudiziarie che hanno coimvolto pesantemente il Pd come a Venezia con il Mose o a Roma con Mafia capitale. Anzi, l’idea sembra quella di perseverare sulla stessa strada seguita finora. «Queste sono elezioni amministrative, il governo proseguirà con il programma di riforme. Ci siamo impegnati con gli elettori», afferma Rosato, che in merito al rapporto con la minoranza ribadisce: «Siamo l’unico partito che permette una dialettica interna, gli altri espellono chi la pensa diversamente». E chi la pensa diversamente, come il bersaniano Alfredo D’Attorre, non concorda ovviamente né con la diagnosi né, tantomeno con la cura: «Il Pd o ricostruisce un campo largo di centrosinistra o è destinato a perdere le prossime elezioni», taglia corto intervistato da ilfattoquotidiano.it. Naturalmente smentito dal renziano Fiano che rilancia: «Non bisogna entrare nel panico perché le elezioni di medio termine possono risultare sempre molto controverse. Credo che questa tornata elettorale finirà anzi per dare una maggiore spinta all’azione di Renzi verso quel cambiamento a cui stiamo lavorando. Bisogna andare avanti con le riforme soprattutto perché i dati economici iniziano ad essere positivi». A differenza di quelli elettorali e degli altri, sempre più allarmanti, che arrivano dal fronte giudiziario dove settori importanti del partito sono sempre più nei guai con le procure. Ma su questo il Pd non sembra molto impegnato. Almeno in questo momento
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