Asfalto, terra, fango, neve e ghiaccio. Auto che saltano a 3 metri da terra e atterrano dopo 50, percorrendo strade di campagna a velocità che in autostrada sarebbero da ritiro della patente. È il Campionato Mondiale Rally – WRC se vi piacciono le sigle – cioè la massima competizione di motori fuori dai cordoli di un circuito. La tappa italiana di una stagione lunghissima, che inizia a gennaio e termina a novembre, è in Sardegna e si corre su sterrati con pietre dure come la lingua del posto e taglienti come lame. Trecento chilometri divisi in 23 prove speciali intervallate da trasferimenti stradali e da poche decine di minuti di “parco assistenza”, dove squadre di meccanici addestrati compiono gesti rapidi e precisi sotto l’occhio vigile dello “scrutineer”, senza poter sforare dai tempi previsti o sostituire parti importanti come il motore. Se qualcosa si rompe durante la gara nessuno può toccare l’auto, soltanto i piloti, per cui l’affidabilità è un valore imprescindibile.
Quella sarda, poi, è la prova più massacrante delle 13 valide per il Mondiale. Le forature e i pezzi di carbonio che saltano via sono il pane quotidiano degli equipaggi e si rimane affascinati nel vedere pilota e navigatore che balzano dall’auto, la sollevano e cambiano la gomma bucata in poco più di un minuto. Nei rally ci si sporca le mani e il talento di guida viene espresso nella sua forma più pura. Il tracciato non è mai uguale a sé stesso e le condizioni del fondo cambiano a ogni passaggio. Il pilota deve affidarsi totalmente al suo navigatore, decidendo come affrontare ogni singola curva basandosi solo sulle sue note e su quello che vede davanti a sé. Ogni errore si paga a caro prezzo, perché la classifica finale è la somma dei tempi di ogni speciale e basta una sciocchezza – come una foratura, appunto – per compromettere una gara perfetta.
Ma quello che sorprende più di tutto il resto, anche delle imprese di questi maghi del volante, è la passione del pubblico. Si, perché i rally, nonostante le distese di persone degli anni 80 e 90 siano solo un lontano ricordo, continuano a rimanere un patrimonio di tutti. Non ci sono biglietti o ingressi da pagare, servono solo voglia – per raggiungere i migliori punti di osservazione, inerpicandosi tra rocce e cespugli – e pazienza – bisogna muoversi ore prima e aspettare, magari sotto il sole che picchia – ma il divertimento è assicurato, non solo dalle auto che passano derapando a tutto gas. Francesi, italiani, spagnoli e tedeschi, chi acconciato con una parrucca tricolore, chi con striscioni o trombe da stadio. I capannelli di tifosi si formano in maniera spontanea, animati dalla voglia di divertirsi. C’è di tutto, da quello che vive nel paese vicino e viene con gli amici al centauro tedesco che ha attraversato mezza Europa e preso il traghetto con una moto di 25 anni fa.
Per la cronaca, il Rally di Sardegna lo ha vinto la Volkswagen, con la Polo R WRC, come ampiamente preventivato. A quasi metà del Mondiale sembra chiaro che Sebastien Ogier sia destinato a conquistare il terzo titolo consecutivo, portando anche la casa tedesca al tris nel Campionato Costruttori.