Ormai è chiaro: per le vittime dell’uranio impoverito – in primis i militari andati in missione nell’ex Jugoslavia negli anni Novanta – il danno si unisce alla beffa. Come abbiamo raccontato sul fattoquotidiano.it, anche dopo una sequenza di sentenze favorevoli, con il riconoscimento del rapporto causa-effetto fra missione e malattia, non è scontato infatti che lo Stato risarcisca in tempi congrui i militari ammalatisi in servizio di linfoma non hodgkin e altre patologie tumorali o i familiari di coloro che, per il contatto con la polvere di uranio, hanno perduto la vita. Di un lungo calvario sanitario e giudiziario è testimone Emerico Laccetti, colonnello in forza alla Croce Rossa, da trent’anni impegnato in missioni di solidarietà internazionale. Ammalatosi di linfoma, è prima riuscito a guarire completamente e ha poi vinto la causa. Ma non dimentica “il muro di gomma opposto in tutti questi anni dalle istituzioni”. “Migliaia di colleghi si sono ammalati e centinaia sono morti avendo lo Stato contro“, spiega Laccetti. “Siamo stati inviati in missione senza adeguata informazione dei rischi che correvamo; dopo estenuanti ricorsi giudiziari vinciamo le cause, ma spesso i risarcimenti non vengono erogati”. Per Laccetti i vertici del governo sapevano: “Questo ormai è provato, i ministri della difesa dell’epoca erano consapevoli dei rischi, compreso l’ex ministro Mattarella“. Il colonnello Laccetti si sente tradito due volte: “come militare sono stato mandato allo sbaraglio da un governo che avrebbe dovuto dotarci delle necessarie precauzioni; come ufficiale sono stato costretto a tradire la fiducia dei miei sottoposti: numerosi tra loro sono morti” di Piero Ricca, riprese Mauro Episcopo, montaggio Matteo Fiacchino
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