Su questo blog di recente ho raccontato varie storie di istituzionale idiozia nella gestione del tema delle droghe. Vengo a conoscenza di un’altra e voglio condividerla con voi.

Un signore di cinquantacinque anni, padre di famiglia, viene condannato alcuni giorni fa a un anno e mezzo di galera per aver coltivato cinque piantine di marijuana. Questa è la fine della storia. Ma partiamo dall’inizio.

Nel pieno dei trent’anni il nostro uomo scopre con terrore di essere epilettico. Non ne aveva mai avuto sentore, prima di una crisi improvvisa durante una vacanza. La vita gli si capovolge all’istante: entra ed esce dall’ospedale, fa fatica a tenere gli ordinari ritmi lavorativi (lavora come cameraman), viene imbottito di sedativi e di farmaci antiepilettici che gli provocano sonni prolungati e vomito. È una forma seria di epilessia, tanto da mettere in pericolo la vita stessa. Gli attacchi si susseguono a ritmo sempre più serrato.

L’uomo è disperato. Il lavoro è perso. A volte le cose sembrano andare meglio, ma non c’è mai una vera via di uscita. Fino a che legge su internet che la marijuana aiuta nei casi di epilessia. Ci riflette, non sa se crederci o meno. Decide comunque di provare. Ne acquista un po’. Effettivamente i benefici sono evidenti. Ne parla con il suo medico. Piano piano, con l’aiuto della marijuana, cominciano a scalare i farmaci. Le cose finalmente vanno davvero meglio. L’uomo non vuole rinunciare a questa vita riacquistata. La medicina non è netta su questo. Il neurologo lo autorizza a usare cannabinoidi, il medico di fiducia nega la cura. Lui vede gli effetti concreti e decide di prendersi la responsabilità. Per evitare contatti con spacciatori, coltiva qualche piantina a casa propria. Nel frattempo i farmaci sono quasi a zero, la sonnolenza è stata superata, la nausea e le vertigini pure, la vita ricomincia.

Fino a quando nel 2008 la polizia si accorge delle cinque piantine. L’uomo è arrestato. Nella sentenza del processo per direttissima (wow che efficienza, contro cotanto criminale….!) si legge che va presunto l’uso terapeutico. Eppure la condanna è a due anni e otto mesi di carcere più una multa di 12.000 euro. La sentenza di appello riduce la condanna a un anno e mezzo e la Cassazione conferma. Ciò avviene nei giorni scorsi, dopo sette anni di processo: sette anni in cui la giustizia ha perso tempo, soldi, risorse dietro a una persona in gravi difficoltà di salute che aveva la vita devastata da una malattia e cercava di rimettersi in carreggiata.

Questi sono i fatti. I giudizi, se ce ne fosse bisogno, metteteli voi nei vostri commenti.

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