A marzo del 2014 avevano dato vita a una serie di picchetti davanti all’Università di Bologna, per protestare contro il contratto dei lavoratori Coopservice di Palazzo Paleotti, pagati 3 euro l’ora. Una mobilitazione durata giorni e terminata con l’aumento delle buste paga. Oggi, a oltre un anno di distanza, sei studenti e ricercatori, tutti attivisti del collettivo Hobo, sono stati condannati a pagare 15mila euro di multa a testa, proprio per aver partecipato ai quei sit-in, e aver impedito, appendendo striscioni e nastri ai portoni, l’ingresso all’ateneo del personale amministrativo, dei docenti e degli universitari.
A dare la notizia sono gli stessi militanti del collettivo, attraverso un comunicato sulla pagina Facebook. “Da oggi lo sciopero è equiparato ad attività criminale – si legge – Quello che ci viene detto è che da oggi in avanti i lavoratori devono essere disponibili a qualsiasi forma di sfruttamento, perfino a lavorare gratis o per pochi euro all’ora, perché se alzano la testa e rivendicano dei diritti verranno bastonati. Se non accetti 2,80 euro all’ora, ti diamo 15mila euro di sanzione. Condannare penalmente chi partecipa a un picchetto significa negare il diritto di sciopero”.
I sei (5 ragazzi e una ragazza) sono stati condannati ciascuno a due mesi di carcere, commutati in una sanzione da 15mila euro a testa. Quindi 90mila euro in tutto. Una cifra stabilita dal Gip di Bologna, che a maggio ha emesso un decreto penale di condanna. Si tratta di un provvedimento speciale, richiesto dal pm, che permette di saltare sia l’udienza preliminare, sia la fase dibattimentale del processo. Un “dispositivo giuridico aberrante” secondo gli esponenti di Hobo, perché “ancora una volta viene rovesciato quello che dovrebbe essere il normale procedimento giuridico: prima c’è la sentenza, poi eventualmente il processo. La presunzione di innocenza diventa presunzione di colpevolezza”.
Il riferimento nel decreto di condanna è alle proteste del 15 e del 16 aprile, quando i collettivi, per sostenere la causa dei dipendenti Coopservice e del sindacato di base, organizzarono dei blocchi nella zona universitaria, chiudendo gli ingressi in diversi punti. Nel testo firmato da Gip, si parla infatti di “manifesti e striscioni” posti davanti ai portoni dell’ateneo, insieme a “nastro di colore bianco e rosso”. Azioni che provocarono “ l’interruzione del pubblico ufficio, della regolare tenuta delle lezioni e degli esami” già programmati per quei giorni.
La vicenda dei lavoratori della Coopservice, impegnati nei servizi multisala e di portierato nella biblioteca dell’Alma mater, era iniziata alcuni mesi prima, nel novembre del 2013, quando l’azienda aveva ridotto le buste paga di circa il 40 per cento, passando da un compenso di 6 o 7 euro l’ora, a uno equivalente a poco più di 3 euro l’ora. Per questo, poi, in primavera il sindacato di base Cub aveva deciso di dare il via a diverse forme di protesta, ottenendo presto il sostegno dei collettivi universitari e di diversi docenti (alcuni avevano partecipato ai sit in, organizzando per solidarietà le lezioni fuori dalle aule) e la revisione del contratto.