“Sono allibito e indignato. La magistratura non sarà mica invidiosa del lavoro svolto dalle due Iene?”. Carlo Taormina, difensore di Mirko Canala che con il collega Luigi Pelazza ha registrato in un servizio delle Iene la compravendita di patenti nautiche false a Pozzuoli, torna sul caso del rinvio a giudizio per concorso in corruzione dei due inviati del programma di Italia1, parificati sostanzialmente ai soggetti da loro ripresi che hanno commesso un reato, e che andranno a processo a Napoli tra settembre e ottobre 2015.
“Canala è un attore e ha solo svolto la sua parte sulla base di un copione fornito da Pelazza di cui abbiamo conservato copia. L’assicurazione che tutto fosse regolare era stata data dal team legale di Mediaset, quindi valevole anche per Pelazza”, spiega a FQMagazine l’avvocato romano, ex sottosegretario agli Interni del governo Berlusconi. “Forse Pelazza si è espresso male nell’intervista rilasciata alla vostra testata dicendo che “sapevamo che saremmo andati incontro a un reato abbastanza grave”. La certezza era invece che tutto fosse come non poteva non essere, non foss’altro che per l’elemento psicologico: la ricerca della verità per consegnare le prove alla magistratura e non per fare corruzione o realizzare situazioni penalmente rilevanti”.
“Quello che è accaduto può tarpare le ali al giornalismo d’inchiesta che certo talvolta può essere ritenuto arrembante, ma è essenziale. – prosegue Taormina – Nel nostro caso il giornalista raccoglie elementi, li porta immediatamente all’Arma dei Carabinieri, e poi li spedisce alla magistratura. Mi chiedo perché il pm, avuta la notizia, con la possibilità di perseguire gravissimi reati, se la prende con i due inviati. Sono allibito e preoccupato per una pluralità di motivi. Il giornalismo d’inchiesta spesso è l’unica arma per capire come stanno le cose. Frequentemente all’inchiesta giornalistica non corrisponde un’indagine giudiziaria vuoi per inerzia o per altra ragione; in altri casi l’inchiesta ha funzione d’integrare il procedimento che l’autorità giudiziaria sta svolgendo; ma soprattutto il giornalismo d’inchiesta può controllare dall’esterno, anzi è l’unico controllo vero nei confronti della magistratura. Già in generale mettono dentro chi vogliono, e adesso mettono dentro anche i giornalisti? È troppo”.
I due inviati rischiano per falso da 2 a 6 anni, e per corruzione anche 8 anni. “Siamo davanti alla classica trappola per invogliare il titolare dell’agenzia a portare avanti l’operazione a cui i due imputati stessi non credevano avvenisse. All’ultimo momento, dice l’uomo ai due inviati, se proprio non volete fare l’esame faccio questo miracolo e vi clono la patente nautica, basta che mi diate 3500 euro. Ecco che lì scatta la telecamera e registra quel momento. Poi i due vanno in Capitaneria e dai Carabinieri. Più chiaro di questo che dovevano fare?”. “Non ritengo sia un eccesso di zelo della magistratura”, continua il difensore tra gli altri di Erich Priebke e Annamaria Franzoni. “A Napoli si vive un momento difficile all’insegna della sacrosanta guerra contra camorra e corruzione. Poi però come questa volta si butta l’acqua sporca con tutto il bambino. Siamo di fronte ad un irrigidimento assolutamente inconcepibile che mi spinge a dire che c’è compenetrazione tra Procura della Repubblica e gip per cui gli ultimi fanno esattamente quello che dicono i pm e viceversa. Così facendo ti infili in un cuneo dal quale non esci più”.
Taormina conferma la linea difensiva ad oltranza fino in Cassazione (“Saremo in assoluta contrapposizione al pm, perché si tratta di una cosa che urta soprattutto il senso morale”), basandosi su alcune sentenze della Cassazione per le quali “non esiste la possibilità di confutare reati anche perché l’adempimento del dovere costituisce una esimente prevista dall’articolo 51 del codice penale; articolo che viene normalmente applicato ai pubblici ufficiali, ma la giurisprudenza dice che scatta anche per chi svolge un ruolo di rilievo sociale, quindi a livello privato”. Infine si augura che la difesa sia congiunta con l’avvocato di Pelazza specificando però che “una cosa è il ruolo del caporedattore, e non so se Pelazza è caporedattore; altra cosa è il ruolo minore dell’attore il quale esegue quelle che sono le linee del canovaccio pattuito”. È stato comunque Canala ad aver avuto notizia della rete di corruzione per poi portarla all’attenzione delle Iene: “I media ci diano una mano, sono direttamente coinvolti. La sfortuna ha voluto che il processo sia nella situazione incandescente del tribunale di Napoli: fossimo in altra sede andava diversamente”.