Al-Bashir ce l’ha fatta di nuovo: a darsi alla fuga e a far rimediare all’Icc l’ennesima figuraccia. Questa volta il mandato di cattura che l’Aja ha emesso nel 2009 contro il presidente-dittatore sudanese, con le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, sembrava davvero ad un passo dall’essere eseguito: come nel 2013 in Nigeria, è stata una sessione dell’Unione Africana, questa volta a Pretoria, dello scorso weekend a trasformarsi in terreno di scontro tra la Corte Penale Internazionale ed il Sudan.
Ma se allora il governo nigeriano se l’era presa con l’immunità garantita a tutti i capi di Stato del summit che l’avrebbe costretto a violare l’art.87 del Trattato di Roma, ovvero l’obbligo di eseguire i mandati di cattura emessi dalla Corte, questa volta è intervenuta addirittura la magistratura sudafricana a dare manforte ai colleghi dell’Aja: prima l’ordinanza di un tribunale di Pretoria, investito del caso da un’organizzazione per i diritti umani, che ha ordinato al presidente sudanese di non muoversi in attesa della decisione sul caso, poi la Corte suprema che, a quanto scrive il New York Times, stava già dando disposizione affinché venisse eseguito il fermo del presidente sudanese, hanno stabilito l’obbligo di collaborare con l’Aja.
Tutto inutile: l’uomo più ricercato dall’Icc, insieme a Joseph Kony, era infatti già in volo verso Khartoum. E ora? I giudici della Corte suprema sono furiosi: il governo, lasciando andare Al-Bashir, ha violato la costituzione ed il Trattato di Roma. L’amministrazione di Jacob Zuma, viceversa, ritiene di aver rispettato il diritto internazionale, garantendo l’immunità ad un capo di Stato in visita. Intanto, il dittatore danza con lo scalpo della Corte dell’Aja e annuncia, tramite la sua agenzia governativa “l’Unione Africana ha oggi liquidato l’Icc“.
Retorica o meno, tra l’archiviazione del caso Kenyatta e la nuova fuga di Al-Bashir, la credibilità della Corte è ai minimi; d’altronde come può funzionare un sistema di giustizia universale, affidato esclusivamente al buon senso degli Stati? In questo caso, oltre alla crisi internazionale, è andato in scena un pesante conflitto di poteri tra il massimo organo giurisdizionale sudafricano ed il governo del Paese; ossia una riproduzione, su scala nazionale, del conflitto tra politica e diritto che fin dalla sua fondazione, quasi 13 anni fa, ha condizionato i lavori della Corte.