“Finalmente solo”, avrà pensato, giunto al 16 giugno, il Ballarò di Rai Tre che per una intera stagione ha dovuto dividersi il pubblico del talk show con gli ex di Dimartedì. E per di più con una serata resa politicamente interessante dai primi veri inciampi elettorali del renzismo, dal frullo delle ali gufesche, dal cigolio dei rianimati rottami.
Sicché, pur seguendo il tutto con distrazione estiva, ci è parso di ri-capire che la distinzione tra progressisti e conservatori appartiene ormai alle vecchie cose di pessimo gusto, mentre la linea di demarcazione vera passa tra chi pratica la rottura come premessa della ricomposizione (vedi le province) e chi predica la ricomposizione per evitare la rottura. Accusati i primi di magheggiamenti e avventurismo, i secondi di impaludamento. Da qui un reciproco non piacersi che prima dei contenuti riguarda il carattere, categoria che in politica, in teoria, non dovrebbe trovare spazio ma che da noi al momento ce l’ha e fissa la distinzione fra i sostenitori della “spallata innanzitutto”, e quelli che alle spallate non ci credono per principio.
Sebbene gli ospiti non fossero di primissimo piano (a parte Mentana sopravvenuto a dare una mano alla conduzione di Giannini, ci è parsa la serata buona per capire se e quanto il pubblico dell’antico e solitario Ballarò si sia diviso in questa stagione fra fanatici seguaci di Giannini e non meno devoti adepti di Floris. Questi ultimi, privi del loro, si sono precipitati sull’altro o lo hanno comunque trascurato?
La risposta è che sparito il rivale la maggior parte degli spettatori del talk politico si è concentrata sul superstite perché Ballarò ieri sera ha raggiunto lo share del 9,15%. Un dato simile alla somma delle due trasmissioni il 5 maggio quando entrambe dovevano fare i conti con una grossa partita di calcio (UEFA, su Canale5), così come ieri Giannini si ritrovava con la Nazionale, sia pure in amichevole, su Rai1.
Quali sono gli spettatori che Giannini ha ritrovato grazie alle vacanze di Floris? Essenzialmente un po’ di maschi attempati e laureati, nonché di femmine sparse nelle diverse età. E forse anche qualche piccolo guadagno al sud. Mentre gli spettatori stranieri sono rimasti inchiodati alla loro quota, segno che i due rivali gli sembrano abbastanza uguali, come gli occidentali dicono dei cinesi.
Al tirare delle somme, saremmo indotti a pensare che il sistema televisivo dei talk show quasi-uguali e contrapposti sia una manifestazione non di concorrenza, né di pluralismo, ma di spreco generato dal disordinato sfruttamento del talk show politico, il modo più a buon mercato di riempire il palinsesto. Un segno di debolezza collettiva del nostro sistema, tant’è che nulla di simile accade, per quanto ne sappiamo, altrove. Se sia un problema da risolvere col metodo della “spallata ricompositiva” (a partire dalle strategie Rai) o con la “ricomposizione costruttiva” (in sostanza tenendo la Rai a bagnomaria e a tutela degli equilibri di tutti verso tutti) lo lasciamo scegliere al temperamento di chi legge.