Era il marzo del 1966 e sul traguardo della Milano – Sanremo irruppe un giovane di neanche 21 anni dal nome insidioso per i cronisti dell’epoca. Merckx, Eddy Merckx si chiamava e anche il grande Adriano De Zan glielo fece ripetere nelle interviste mentre cercava di collocarlo politicamente (fiammingo o vallone), religiosamente e come ciclista (un altro velocista si pensò).
Eddy Merckx rispose subito alla prima domanda senza fronzoli: “Sono belga e basta”, alle altre ebbe modo di dimostrare che corridore sarebbe stato per oltre 10 anni.
Effettivamente diventerà un velocista, ma anche un cacciatore di classiche, ma anche un pistard, ma anche un cronoman e pluri-vincitore di grandi Giri. Tanto da essere egli stesso il ciclismo, la sua essenza. Chi non conosce il suo soprannome, il “cannibale”? Chi pensa di paragonarlo a qualche altro ciclista sbaglia non solo perché il numero di successi è irripetibile ma perché per fare paragoni plausibili occorre sconfinare negli altri sport e chiedersi se mai qualcuno ha dominato così tanto la sua disciplina. Vi risparmio la fatica, non c’è! Per dieci anni, da quella Sanremo a quella del 1976 ha portato a casa ogni corsa, una su quattro era sua. Cinque Giri, cinque Tour, tre Mondiali in linea, il record dell’ora e una miriade di classiche (7 Sanremo) per un totale di 426 vittorie. Non posso elencarle tutte e sarebbe impossibile oltre che inutile. Incuriosisce di più invece sapere perché la divinità del ciclismo non riuscì a fare sue la Tirreno – Adriatico, la Parigi – Tours e il Campionato di Zurigo. Su ogni albo d’oro c’è il suo nome ad impreziosire la storia della corsa e ogni avversario battuto sa di aver fatto il massimo e perso dal migliore.
Il nostro Felice Gimondi ad esempio arrivò alle spalle dell’amico Eddy molte volte. Ha vinto tanto ma classifiche alla mano, senza il belga avrebbe vinto anche il Fiandre del 1969, il Giro nel ’70 e ’73, il Tour nel 1972 e il Mondiale del 1971. Potrei dilungarmi ma sarebbe ingiusto dire che forse aveva dei limiti in salita e che i casi di doping che lo coinvolsero ne offuscarono un po’ la luce, anche perché io, l’era Merckx non l’ho vissuta e anzi, quando lui smise, nel 1978, non ero neppure nato. Il “mio” Merckx è quello che nei racconti di mio padre attaccava al primo chilometro o che strapazzava tutti in volata anche quando era in una giornata no. I racconti di chi lo ha visto e tifato condiscono di particolari la freddezza del bianco e nero nelle immagini di archivio. Quegli scorci di grandezza non bastano mai per comprenderla tutta e forse per questo ogni giovane appassionato continua a chiedere “ma chi era Merckx, come correva, come vinceva?”
Non è forse questo il miracolo di un campione così? Arrivare a 70 anni, quasi 50 dopo quella Sanremo dove neanche gli addetti ai lavori lo conoscevano e ne storpiavano il nome, e ricevere gli auguri del mondo intero è l’ennesimo traguardo. Il rammarico mi resta perché vederlo all’opera sarebbe stato grandioso e purtroppo, al contrario di quanto succede negli altri sport dove “il migliore di sempre” si trova ciclicamente, qui la gara è chiusa in partenza perché corre Merckx e come Eddy, nessuno mai! Auguri!