La Commissione ha presentato un progetto di riforma per impedire alle aziende che operano in più Paesi di sfruttare le differenze legislative per pagare meno imposte. L'idea è di applicare l'imposizione al totale dei profitti realizzati sul territorio dell'Unione. Ma non è una novità: la prima proposta risale al 2011 ed è ferma in Consiglio per l'opposizione di diversi Paesi a partire dall'Irlanda
Fissare una base imponibile comune, valida in tutta l’Unione europea, per evitare che le multinazionali sfruttino il mancato coordinamento tra i Paesi per pagare meno tasse. E’ il punto principale del piano d’azione della Commissione Ue per riformare la tassazione societaria e chiudere le maglie che consentono alle grandi aziende di sfuggire a parte dell’imposizione fiscale. Il contrasto all’elusione, secondo l’esecutivo europeo, dovrebbe da un lato permettere di aumentare le entrate degli Stati membri, che potranno così limitare gli oneri che ricadono sui cittadini, dall’altro evitare la concorrenza sleale esercitata dalle imprese che non versano il dovuto al fisco. La nuova iniziativa segue di sei mesi il via libera da parte dell’Ecofin alla revisione della direttiva comunitaria “madri-figlie“, quella che regola i rapporti tra le società capogruppo e le controllate. L’obiettivo è lo stesso: evitare privilegi fiscali come quelli di cui hanno goduto Apple e Amazon, portati alla luce dallo scandalo LuxLeaks e finiti nel mirino della Commissione.
Dopo aver messo a punto una definizione comune di ‘profitti tassabili’, la Commissione proporrà di passare al consolidamento: gli utili di un’azienda che opera in diversi Stati membri sarebbero quindi considerati un tutt’uno a livello europeo e le aliquote sarebbero applicate su questo risultato complessivo. Per garantire una tassazione efficace nel luogo in cui sono generati gli utili dell’impresa è poi prevista una riforma del ‘regime di trasferimento dei profitti’ e di quello dei ‘patent boxes’, che permette di avere un’aliquota preferenziale per brevetti e proprietà intellettuale.
Secondo il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis si tratta di “un piano ambizioso ma realistico”, che si “basa sul principio fondamentale secondo cui tutte le imprese – siano esse grandi o piccole, locali o mondiali – devono versare una giusta quota di imposte nel luogo in cui si svolge l’attività economica reale e dove gli utili sono effettivamente generati”. Non fa ben sperare il fatto che l’idea di una base imponibile comune (Common consolidated corporate tax base, in sigla Ccctb) sia tutt’altro che nuova: risale al 2011 ed è ferma in Consiglio, ostacolata da diversi Paesi. In prima fila l’Irlanda, che come è noto offre alle multinazionali una tassazione di favore. Il commissario agli affari economici Pierre Moscovici ha però annunciato che presenterà, all’inizio del 2016, una formulazione diversa.
Infine, la Commissione ha pubblicato per la prima volta la lista dei paradisi fiscali. Si tratta di trenta Paesi, tra cui Hong Kong e Brunei in Asia, Monaco, Andorra e Guernsey in Europa, una serie di Paesi caraibici inclusi le Isole Cayman e le British Virgin Islands.