di Rossana Cassarà *
In questi giorni il governo ha approvato il provvedimento del Jobs Act sulla disciplina organica dei contratti di lavoro che, secondo le “promesse”, dovrebbe mettere la parola fine al lavoro precario eliminando contratti a progetto, contratti di collaborazione e partite Iva che mascherano il lavoro subordinato.
Par di sognare, dopo anni di discussioni e di cause su cos’è un progetto, cosa succede se non c’è nel contratto, come si fa a stabilire se un lavoratore coordinato e continuativo o a partita Iva è autonomo o dipendente; ma è davvero la fine del precariato?
Leggendo il testo del decreto legislativo (in fase di varo), che dovrebbe tradurre le promesse in realtà, i dubbi sono molti.
Gli articoli relativi al contratto a progetto della legge Biagi vengono abrogati, restano validi solo per i contratti già stipulati al momento dell’entrata in vigore del decreto.
E dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato (saranno quindi rapporti di lavoro dipendente a tutti gli effetti) “anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” (art. 2).
Sembra l’uovo di Colombo: ecco eliminato il precariato. Facile, no? Già, ma se si riflette gli interrogativi sono molti.
Intanto perché la descrizione riportata riguarda ipotesi tipiche di lavoro subordinato classico (modalità di esecuzione decise dal datore di lavoro, anche riguardo ai tempi e ai luoghi dell’esecuzione della prestazione). E poi perché su quello che succederà dei contratti di collaborazione che non rientrano nelle modalità descritte c’è la nebbia.
E’ invece specificamente previsto, a far data dal 1° gennaio 2016, un condono per il datore di lavoro che decida di trasformare il contratto a progetto o quello a partita Iva in lavoro subordinato a tempo indeterminato: otterrà l’estinzione delle sanzioni amministrative, contributive e fiscali relative alla pregressa erronea qualificazione del rapporto, diciamo così non genuino.
Ma questo premio gli spetterà a condizione che riesca a “convincere” il lavoratore, che magari ha lavorato con queste formule per anni e anni, a rinunciare a gran parte dei propri diritti. Per carità, però, a condizione che firmi una transazione in sede “protetta” (almeno non si rischiano ripensamenti, impugnative e conseguenti pericolose pronunce della magistratura) e di non licenziare il lavoratore ex precario per 12 mesi (salvo che per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, sanzionato tuttavia con l’indennità del contratto a tutele crescenti. Quindi attenzione a quello che l’Azienda chiederà di firmare, vale sempre la pena di chiarire, con l’ausilio del sindacato o di un avvocato del lavoro, a cosa si sta rinunciando e a fronte di quale “concessione”.
Ma dal 1° gennaio 2016 cosa ne sarà dei contratti a partita Iva “non organizzate”, o delle collaborazioni “autonome” comunque stipulate? Si trasformeranno anche loro in lavoro subordinato? Non si potranno più fare? Intanto ci sono le eccezioni, previste dal decreto che sono le solite più una, da guardare attentamente.
Quelle solite: con chi è iscritto a un albo (medici, avvocati, giornalisti, architetti, eccetera) si può ancora e sempre stipulare una collaborazione autonoma o a partita Iva. Idem per gli organi amministrativi delle società e per i membri di collegi o commissioni. Idem per le società sportive. E fin qui niente di nuovo.
La novità è che le confederazioni sindacali potranno prevedere accordi collettivi con altre eccezioni, collegate a esigenze produttive e organizzative di settore: una falla da cui potrà uscire un ruscello ma anche un fiume in piena. Una delega in bianco alla contrattazione collettiva ed un salva-condotto per alcune tipologie di aziende e rapporti di lavoro (si pensava, ad esempio, ai call center?) che non sembra proprio conforme alla dichiarata intenzione di porre fine al precariato eliminando questo tipo di contratti, e anche alla normativa costituzionale. Ma staremo a vedere.
Diradata la nebbia? Mica tanto. Perché nel decreto di riforma manca l’annunciato riordino dei contratti che si riduce ad un compendio organico: ci sono delle pezze messa qua e là, senza un’idea guida precisa. L’art. 409 n. 3 c.p.c., quello delle collaborazioni “parasubordinate” che sono all’origine del precariato, non viene modificato, saranno perciò sempre possibili le collaborazioni “che si concretino in una collaborazione continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”: e allora la riforma dov’è?
Continueremo a discutere e a far cause sulla natura subordinata o meno della collaborazione, come adesso, salvo i casi descritti dal comma 1 dell’art. 2 del decreto che, senza bisogno del Jobs Act e del premio ai datori di lavoro bravi, erano già limpidi fino alla trasparenza. In più (anzi in meno) verrà a mancare la sanzione della conversione automatica del contratto nell’ipotesi in cui manchi o non sia specificato il progetto, con conseguente necessità del lavoratore di dimostrare la natura subordinata del proprio rapporto.
* Palermitana ma ormai milanese di adozione, esercito la professione di avvocato a Milano occupandomi con passione di diritto del lavoro. Ho fatto esperienza in materia di lavoro giornalistico collaborando con il sindacato lombardo, ho seguito procedure di mobilità partecipando alle trattative sindacali e svolgo attività stragiudiziale e giudiziale su questioni inerenti il rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato, autonomo e di agenzia in un primario studio giuslavoristico.