Inserita nella legge di Stabilità 2015, la moratoria ora operativa risulta ridimensionata: prevede la sospensione della sola quota capitale del mutuo per un massimo di 12 mesi e per una sola volta nell’arco dei tre anni che vanno dal 2015 al 2017. Le banche si sono così assicurate il pagamento di tutti gli interessi, aderendo quasi in massa all'iniziativa
La nuova moratoria per i mutui delle famiglie, valida per gli anni 2015-2017, è diventata operativa e porta con sé un’importante novità: per la prima volta la sospensione si estende anche ai crediti al consumo, vale a dire i prestiti per acquistare l’auto nuova o l’ultimo modello di smartphone con durata di oltre due anni. La misura era attesa da sei mesi visto che, inserita a fine 2014 nella legge di Stabilità, è stata ufficializzata solo il 31 marzo 2015 con un accordo tra l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) e le principali associazioni dei consumatori e, invece, criteri, requisiti e modalità per l’accesso sono scattati solo a inizio giugno. In particolare, vale solo nei casi di cessazione del posto di lavoro, morte, grave infortunio o nei casi di misure di sospensione del lavoro e/o di ammortizzatori sociali anche qualora il mutuatario abbia ritardi di pagamenti fino a 90 giorni.
Ora, quindi, si può parlare di una boccata d’ossigeno per le famiglie italiane alle prese con rate e bollettini? “Proprio no, è un provvedimento all’acqua di rose e ha confini delimitati”, spiega Fabio Picciolini, responsabile Ufficio studi Adiconsum, che aggiunge: “La moratoria consente di interrompere solo per un massimo di 12 mesi il pagamento delle rate e, inoltre, riguarda la sola quota capitale dei prestiti ma non quella degli interessi. Così se, ad esempio, la rata di un mutuo acceso 7/8 anni fa ammonta a 650 euro, si dovranno continuare a pagare regolarmente ogni mese almeno 300 euro di interessi (che nei primi anni del mutuo sono sempre più alti del capitale, ndr)”.
Dunque una formulazione diversa rispetto alle altre due valvole anticrisi che negli ultimi anni sono state introdotte per le famiglie in crisi: il Piano famiglia esaurito nel 2013 (che ha concesso a oltre 98mila clienti la sospensione dei mutui) che permetteva di scegliere se sospendere la quota capitale oppure sospendere per intero la rata, e il Fondo di solidarietà per l’acquisto della prima casa, finanziato dal Mef e gestito dalla Consap, che da metà 2013 consente di richiedere la sospensione del pagamento dell’intera rata (per un massimo di due volte, fino a 18 mesi, in caso di perdita del lavoro, morte o handicap) ai mutuatari con reddito Isee non superiore a 30.000 euro e un importo di mutuo non superiore a 250.000 euro, per l’acquisto di un’immobile non di lusso adibito ad abitazione principale. Misura che – spiega il ministero dell’Economia – fino allo scorso aprile ha accolto oltre 23mila richieste di sospensione (per oltre 2 miliardi di controvalore) e che per la quasi totalità ha riguardato mutuatari che hanno perso il posto di lavoro. Durante il periodo di stop è il Fondo a pagare gli interessi alla banca, ma solo relativamente alla percentuale rappresentata dal parametro (Irs o Euribor), mentre lo spread rimane a carico del cliente e viene spalmato sulle rate alla ripresa dei pagamenti.
“Questa nuova moratoria – sottolinea Picciolini – sembra quindi decisamente scarsa se confrontata con le altre e, anche se non prevede il pagamento di commissioni o interessi di mora, non aiuta le famiglie che, a causa della crisi, continuano ad essere in difficoltà anche nella gestione familiare di rate e bollette”. E non si tratta di casi sporadici: gli ultimi dati diffusi da Bankitalia relativi al mese di marzo parlano di una crescita annua del 14,8% delle sofferenze bancarie dovute al mancato pagamento dei mutui. “E poi – aggiunge Picciolini – i 12 mesi di sospensione previsti rappresentano un lasso di tempo veramente troppo breve che non consentirà agli italiani di trovare un nuovo lavoro”.
A sollevare dubbi sulla reale efficacia della moratoria è anche il suo promotore, il deputato M5S Francesco Cariello, il quale nella legge di Stabilità aveva previsto che la misura si estendesse per 36 mesi per “affrontare l’emergenza liquidità e lasciarne di più nell’economia reale per favorire la ripresa di consumi e investimenti”. Peccato che l’accordo preparato dall’Associazione bancaria abbia sforbiciato il termine della moratoria e ora Cariello non solo la definisce “riduttiva”, ma accusa: “Così non sancisce più un diritto da parte del debitore ma è diventata una concessione dell’Abi”.
Accuse rispedite al mittente dall’associazione bancaria. “Con l’accordo – si legge in una nota – i firmatari hanno previsto tra i possibili beneficiari anche i soggetti che hanno subito sospensioni o riduzioni dell’orario di lavoro dovute alla prolungata crisi economica e riapre i termini anche per sospendere i finanziamenti per le famiglie che hanno già beneficiato di tale strumento negli anni passati, purché la sospensione non sia stata richiesta nei 24 mesi precedenti”. Da non sottovalutare anche che il nuovo accordo è riservato a quanti non hanno i requisiti per rientrare nel Fondo di Solidarietà che resta preferibile per chi si trova in gravi difficoltà economiche.
Dalla moratoria restano, invece, escluse le richieste dei titolari di mutui e finanziamenti che hanno accumulato un ritardo dei pagamenti superiore ai 90 giorni; che hanno già fruito di misure di sospensione per un periodo di 12 mesi o di agevolazioni pubbliche (nella forma di garanzia, contributi in conto capitale o in conto interessi, provvista agevolata); che hanno sottoscritto contratti assistiti dalla cessione del quinto dello stipendio o della pensione e quelli strutturati con carta di credito revolving o come aperture di credito.
La sospensione può essere richiesta solo una volta dall’intestatario del finanziamento o del mutuo e la domanda deve essere presentata alla banca entro il 31 dicembre 2017 (scarica qui il fac simile). Con un dato che fa riflettere: se in tutte le altre misure di sostegno per i consumatori, l’accusa più grande rivolta alle banche è di essere solo in poche quelle che realmente aderiscono agli accordi, in questo caso gli istituti rappresentano oltre il 70,3% (qui l’elenco aggiornato all’11 giugno). Il motivo è chiaro: ci rimettono poco o niente visto che appunto nei 12 mesi di sospensione continueranno comunque a ricevere il pagamento degli interessi.