25 ettari. 2 milioni di metri cubi di rifiuti vari.
Ancora da analizzare e catalogare nella loro natura e portata lesiva verso l’ambiente e la salute pubblica, certo; ma è verosimile supporre sin d’ora che non si tratti proprio di ammendante pregiato. Questa la stima orientativa dell’entità di quella che si presume essere una tra le più estese discariche abusive d’Europa, scoperta negli ultimissimi giorni nel territorio di Caserta in un’indagine della locale Procura della Repubblica.
I criminali che hanno perpetrato quest’ennesimo, enorme, stupro ambientale (con le conseguenti, facilmente prevedibili, violenze prodotte anche sulla salute pubblica di chi vive in quell’area) hanno potuto farlo grazie a un’etica pubblica, capillarmente diffusa a tutti i livelli della popolazione di questo Paese, in forza della quale la terra, il sottosuolo, l’acqua e l’aria sono considerati, grosso modo, alla stregua di miniere senza fine, senza limiti e senza padroni da sfruttare, in ogni modo, e da mettere a massimo e incondizionato profitto.
Ma hanno potuto farlo, più semplicemente, anche perché questo Paese, per decenni, è stato privo di seri strumenti di tutela penale dell’ambiente. Da meno di un mese, questi strumenti sono entrati nell’ordinamento giuridico italiano.
Questa vicenda, in ogni caso, non rientra nell’ambito di applicabilità della nuova normativa in materia di delitti contro l’ambiente, per il fondamentale principio di irretroattività della norma penale più grave vigente nel nostro sistema penale. Ciò non toglie, peraltro, che, laddove dovessero esservene gli estremi, questi fatti potrebbero esser puniti con la vecchia (e, sotto vari profili, più problematica) normativa, per esempio in materia di “disastro innominato”.
In ogni caso, per il futuro, è lecito sperare in un maggiore effetto deterrente, dunque preventivo, del nuovo apparato sanzionatorio posto a tutela del primo bene giuridico comune: l’ambiente.
C’è, però, un ulteriore profilo critico, in questa vicenda, che va ancora più energicamente evidenziato, per non dire un allarme che va lanciato dato che l’approvazione della legge sugli “ecoreati”, purtroppo, non fa certo di questo legislatore, specie di quello (improprio) di conio governativo, un campione della “ecosostenibilità”, per dirla con grande delicatezza.
L’operazione che ha portato alla scoperta della discarica di Caserta è stata coordinata dal Corpo Forestale dello Stato. E’ l’ennesima condotta da un Corpo di eccellenza nell’ambito della tutela ambientale; l’unico, per esser più precisi, connotato, in quanto tale, da quella missione istituzionale. Una materia, la tutela ambientale, che, quando mai dovesse esser ancora necessario sottolinearlo, non è solo fondamentale in sé, per la banale ragione per cui essa attiene agli stessi profili di sopravvivenza del pianeta. C’è di più.
Indagando sui crimini ambientali, ad un certo livello, ormai si arriva, per concatenazioni successive, quasi sistematicamente a mettere a nudo varie altre batterie di reati connessi: da quelli contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia. E’ la prova della centralità della questione ambientale anche in ambito criminale, certificata (e contrastata) pure dalla meritoria introduzione nel nostro ordinamento della c.d. “aggravante ambientale”, sempre ad opera della legge “ecoreati”.
I Forestali hanno dimostrato ripetutamente una notevole capacità investigativa anche in questo senso “interdisciplinare”. Oltre alla Campania, come emerge da questa storia, la Puglia è, in ciò, esempio illuminante, per citarne solo uno.
Date queste premesse, il frizzante governo dei 140 caratteri ha avuto, nelle sue menti amministrativiste di punta, la mirabile alzata d’ingegno non di rafforzare quel Corpo d’eccellenza nella tutela ambientale (sarebbe stato d’un banale!); bensì di sopprimerlo. Per “valorizzare meglio le professionalità”, ça va sans dire.
E’ il caso che i settori più lucidi e dinamici di quella cittadinanza attiva che, con la sua mobilitazione dal basso, ha contribuito potentemente al conseguimento del risultato storico dell’approvazione della legge sugli ecoreati si rimettano in moto al più presto. L’insegnamento magistrale di quel risultato è che certe lotte si devono ingaggiare comunque. Anche (ma non solo) perché si possono vincere.
“Nun è overo nun è sempe ‘o stesso; tutt’e juornë po’ cagnà’”, per dirla con l’autore che ha cantato lo struggimento e la speranza di quella terra; della terra sua.