L'Apache torna a Buenos Aires come el Principe l'anno scorso tornò ad Avellaneda. Nella storia del calcio sono tanti i profeti in patria, ma non sempre i risultati sportivi sono stati all'altezza delle aspettative e del fascina di una scelta difficile
A volte ritornano. Dopo una carriera, seppur breve come quella dei calciatori, che li ha costretti lontano negli anni migliori, il richiamo di casa si fa irresistibile. Ma prima di tornare dalla famiglia e dagli amici, si ritorna nella squadra delle origini, dove si è cresciuti o si è esplosi definitivamente, per chiudere un cerchio, per riuscire a dirsi addio come non si era stati capaci di fare la prima volta. L’ultimo è Carlitos Tevez, che dopo due anni, due scudetti, 96 presenze e 50 gol con la maglia bianconera, dal Cile dove è impegnato in Coppa America con l’Argentina fa sapere: “Addio Juventus, torno al Boca Juniors”. In realtà il ritorno al Boca lo aveva già “minacciato” ai tempi di Manchester, sia con lo United che con il City, ed era solo un modo per essere messo sul mercato. Ma questa volta, a 31 anni, tutto fa pensare che possa davvero tornare alle origini: alla squadra in cui è cresciuto da ragazzino, con cui ha esordito nel calcio che conta a diciotto anni, e con cui ha vinto tutto quello che era possibile.
Lo scorso anno è tornato a casa anche Milito, dopo il triplete con l’Inter si è accasato al Racing Avellaneda: la squadra del quartiere in cui è cresciuto e in cui ha mosso i primi passi, e con cui da capitano lo scorso anno ha vinto il Torneo de Transición. Prima di loro Riquelme: l’ultimo numero dieci. Se nel mezzo Milito era anche tornato al Genoa, da cui era cominciata la sua avventura italiana, Shevchenko è tornato alle origini addirittura due volte: prima al Milan, senza fortuna dopo la parentesi al Chelsea, poi alla Dinamo Kiev. Anche Kakà è tornato al Milan dopo quattro anni al Real Madrid, ma anche in questo caso non è stato un bel vedere. Anzi. Sia per Sheva che per Kakà, come per Gullit e Donadoni anni prima, si può dire che la scelta sia stata fallimentare. Come per Sacchi e Capello al secondo giro sulla panchina rossonera. Non è andata bene nemmeno a Toni quando ha provato a rientrare alla Fiorentina, anche se si sta rifacendo ora a Verona. Meglio ha fatto Abel Balbo: in pochi si sono accorti che a fine carriera è tornato per due anni alla Roma (3 presenze, 0 gol), ma ha fatto in tempo a vincere uno scudetto.
Diversi sono i casi di Di Natale, Crespo e Henry. Per tutti il ritorno è stato un puro atto di amore. Per ringraziare Henry di essere tornato all’Arsenal, anche se per soli sei mesi e a 35 anni suonati, i tifosi e il club gli hanno dedicato una statua di fronte all’Emirates Stadium. Tra i tecnici, invece, come per Sacchi e Capello, anche a Trapattoni con la Juve e Herrera con l’Inter non ha fatto bene riprovare da capo, dove avevano vinto tutto. Mentre ci è riuscito Lippi alla Juve, dimenticando la brutta parentesi interista, e lo sta facendo Mourinho al Chelsea. Nella storia ha fatto benissimo il più grande di tutti, Rinus Michels, che al suo ritorno sulla panchina olandese ha conquistato il primo e unico trofeo vinto dagli orange: l’Europeo del 1988. Chissà a quale delle due fazioni andrà ascritta la seconda esperienza interista di Mancini, anche se per ora lascia propendere di stare con la maggioranza: quella che non ce la fa.
Poi ci sono ritorni minori, e nemmeno a fine carriera. Nelle ultime sessioni di calciomercato italiano, giocate tutte al ribasso e quindi sui sentimenti, ecco Santon per la seconda volta all’Inter, Matri per la seconda alla Juve e per la terza con Allegri, Borriello per la terza al Genoa. Per un Torres che torna alle origini all’Atletico Madrid, al Milan, doveva aveva già giocato suo padre, è rientrato Antonelli. Diamanti e Gilardino ci hanno provato alla Fiorentina, ma non è detto che restino. Poi c’è chi pur di tornare accetta di retrocedere nel calcio minore: Belardi, Cirillo e Aronica per la Reggina. O Portanova col Siena. Curioso infine il caso di Scholes, lui al Manchester United è tornato non dopo esperienze in altre squadre, ma dopo avere appeso gli scarpini al chiodo. E’ un altro tipo di rientro, che ha paragoni solo con altri campionissimi dello sport: Pelé, Muhammad Alì, Bjorn Borg, Martina Navratilova, Lance Armstrong e Micheal Jordan. Anche i più grandi tutti vanno, vengono, e a volte ritornano.