C’è una corsa allo sfruttamento delle centrali a biomassa, che sta imperversando un po’ in tutta Italia; questo incremento è forte del fatto che tali impianti, adatti a produrre energia termica per il riscaldamento ed energia elettrica da immettere nella rete pubblica, gode di particolari incentivi
Ma è necessario chiarire bene il concetto di biomassa; nel nostro Paese non esiste una definizione chiara ed inequivocabile. Troppi materiali, troppe provenienze diverse e troppi i campi di utilizzo, troppe anche le fonti legislative e istituzionali che danno definizioni diverse. Siamo in Italia! Se, però, prendiamo la definizione data dall’attuale legislazione italiana nella quale si dice: «Biomassa=..la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese pesca e acquacoltura, gli sfalci e potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani», possiamo dire che in questa definizione si trovano una marea di materiali che con ciò che possiamo definire ‘bio’, hanno davvero poco a che vedere!
Quale biomassa ci troveremo a gestire sui nostri territori? Esiste la biomassa legnosa, data da alberi, colture dedicate o residui delle lavorazioni agricole; ecco, questa fonte di combustibile ha un suo percorso già più sostenibile, se paragonata ad un altro tipo di biomassa, definita tale per decreto ministeriale. Infatti diventa comparata alla biomassa anche il Css (combustibile solido secondario); per decreto, infatti, tale prodotto derivato dai rifiuti diventa “End Of Waste“, cioè fuori dall’elenco dei rifiuti, quindi gestibile come una biomassa combustibile! Parlare di Css, significa fare riferimento a prodotti a matrice plastica, lavorati e miniaturizzati , ma sempre di origine plastica! Se daremo sviluppo ulteriore alla combustione di tali “biomasse per decreto”, ci ritroveremo piccoli inceneritori sparsi sul territorio. È pur vero che, allo stato attuale delle normative vigenti il Css deve essere convogliato in grandi strutture, però le normative si cambiano facilmente; ne sanno qualcosa gli operatori del fotovoltaico, che si sono visti cambiare le regole ben cinque volte (cinque conti energia) in soli due anni e mezzo! Per quanto riguarda la biomassa legnosa, essa vede l’analisi di due correnti di pensiero; da una parte coloro che sostengono la bontà di questi impianti, asserendo che la nuova tipologia di macchinari permette di controllare quasi totalmente le emissioni e di considerare pari a zero il bilancio di CO2 emessa, rispetto a quella incamerata dal legno che si brucia. Dall’altra parte i sostenitori della teoria che, ogni processo di combustione implica l’emissione di Cov (composti organici volatili), di diossine, di metalli pesanti che sono comunque contenuti nel legno e di particolato ultrasottile (nanopolveri), che sono la fonte di maggiori pericoli per gli esseri viventi, in quanto talmente piccoli da legarsi alle molecole, generando forme tumorali. Una centrale che utilizza un processo di combustione, inevitabilmente immette nell’aria particolati pericolosi e CO2; si tratta di capire, però, se la realizzazione di una centrale a servizio pubblico, può far chiudere altre fonti di emissioni, la cui somma è superiore a quella emessa dalla centrale stessa. In questo caso si potrebbe sostenere che la centrale ha un senso di sostenibilità. Diversamente, si aggiunge alla situazione esistente, aggravandola e, quindi, non è compatibile con l’ecosistema che ospita. La verità, quindi, sta nel mezzo delle due visioni.
Nel Trentino, terra ricca di risorse legnose, ci sono alcuni casi particolari, che possono servirci per esempio pratico di non corretto utilizzo delle centrali a biomassa. Vale la pena accennare al comune di Cembra, allocato in una bellissima valle dedita alla coltura di viti pregiate, dove l’amministrazione comunale, abbagliata dal facile guadagno promesso dalla realizzazione di una centrale a biomassa legnosa, ha investito circa 2 milioni di euro; la centrale brucerebbe legna del luogo, producendo acqua calda destinata al riscaldamento di alcuni siti del comune, ma anche e soprattutto energia elettrica da vendere alla rete, incassando quindi gli incentivi. I problemi sono molteplici: il Gse non ha ancora autorizzato la centrale a produrre energia elettrica, quindi da diversi mesi i macchinari, per questa parte di produzione, sono fermi; in estate, dove manderanno l’energia termica, se non v’è nulla da riscaldare e la centrale è sovradimensionata? Inoltre, v’è molta preoccupazione nella popolazione locale, poiché l’amministrazione locale ha improvvidamente dichiarato che dal camino uscirà solo vapore acqueo.
Inutile dire che la gente è in subbuglio per le menzogne che le sono state propinate. Intanto la magistratura indagherà sugli investimenti, dato che qualcuno ha ritenuto che siano inutili. La corsa alle centrali a biomassa è partita grazie ad assurdi incentivi sulla produzione elettrica, data da un tipo di macchinario che ha rendimenti disastrosi (al massimo 25%); se non ci fossero gli incentivi, per produrre energia elettrica nessuno azzarderebbe la costruzione di tali impianti. Un’altra volta il nostro Paese ha avviato un percorso che di sostenibile non ha nulla, spacciandolo per fonte rinnovabile e mistificando una realtà che, invece è ben diversa e che, molto spesso, mette a serio rischio la salute pubblica.