Il provvedimento della Procura di Catania contro l'editore della Sicilia dopo l'individuaziuone di 52 milioni spesso "schermati". I pm vogliono verificare i legami tra questo patrimonio e passati affari con sospette infiltrazioni di Cosa nostra. La replica: "Tutto alla luce del sole, non ho opposto il segreto bancario"
Consapevole di rischiare un sequestro a sei zeri aveva ordinato di monetizzare i suoi titoli e spostarli in altre banche. La procura di Catania però è stata più veloce: e stamattina ha messo i sigilli a diciassette milioni di euro tra titoli, azioni e contanti, nelle disponibilità di Mario Ciancio Sanfilippo, il potentissimo editore de La Sicilia, già ai vertici della Fieg e dell’agenzia Ansa, indagato per concorso esterno a Cosa Nostra. È una storia importante quella di Ciancio, una storia che si è intrecciata per mezzo secolo con le complesse vicende della sua città, Catania, e che adesso è al giro di boa: domani, infatti, comincerà l’udienza preliminare davanti al gip, che dovrà decidere se rinviare a giudizio il potentissimo editore. Un’indagine complessa quella a carico del proprietario de La Sicilia, composta da 48 faldoni dove sono stati depositati i verbali con le dichiarazioni dei pentiti, le ricostruzioni dei pm e accuratissime indagini patrimoniali.
È seguendo la scia del denaro, infatti, che il procuratore di Catania Giovanni Salvi (appena “promosso” dal Csm come pg di Roma) e l’aggiunto Antonino Fanara sono arrivati a localizzare 52 milioni di euro depositati in Svizzera, in certi casi schermati tramite delle fiduciarie di paesi appartenenti ai paradisi fiscali. Un vero e proprio tesoro che Ciancio non ha saputo giustificare. “Le indagini – spiegano dalla procura – hanno consentito di accertare l’esistenza di una sperequazione non giustificata tra le somme di denaro detenute in Svizzera ed i redditi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi in un arco temporale assai ampio”.
Se quei soldi, quindi, non provengono dai redditi denunciati ufficialmente dall’editore, da dove arrivano? È questa una delle tante domande che si pongono i pm, che nella loro richiesta di sequestro ricostruiscono i passaggi di alcuni affari condotti da Ciancio e infiltrati da Cosa nostra già ai tempi dei cosiddetti “cavalieri dell’apocalisse”, e cioè i Graci e i Costanzo, per anni dominus degli appalti pubblici legati alle cosche etnee. È grazie alla collaborazione con la procura di Lugano, se gli inquirenti siciliani si sono accorti di una strana manovra di Ciancio: si era adoperato per monetizzare titoli e azioni tramite una società fiduciaria del Lichtenstein, ordinando poi di spostarli in Italia. È per questo motivo che è scattato il sequestro da 17 milioni eseguito dal Ros dei carabinieri.
“La richiesta di sequestro urgente – spiegano gli inquirenti – è stata presentata dalla Procura Distrettuale della Repubblica nel momento in cui è venuta a conoscenza del fatto che Ciancio Sanfilippo aveva dato l’ordine di monetizzare i propri titoli detenuti in Svizzera e di trasferire il ricavato in istituti di credito italiani”. Ma l’attività della procura di Catania non si è esaurita nel sequestro di oggi: anche il Nucleo di Polizia Tributaria ha acquisito numerosi movimenti bancari, che adesso sono al vaglio della la società Price Water House Coopers, una multinazionale specializzata in revisioni di bilancio, incaricata dai pm di ricostruire l’andamento storico del patrimonio di Ciancio.
Agli atti degli inquirenti c’è anche la sentenza di primo grado che condanna l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo a sei anni e otto mesi per concorso esterno a Cosa Nostra. Nelle 325 pagine di motivazione, il gup Marina Rizza cita Ciancio diverse volte. “Attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo- spiega il giudice, Ciancio “avrebbe apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla famiglia catanese”. “Il modus operandi – continua sempre il gup – e la presenza di elementi vicini alla mafia palermitana fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”.
Il potente editore, però, ha deciso di replicare alla misura di prevenzione chiesta dalla procura di Catania. “E’ tutto alla luce del sole: i capitali nei conti svizzeri sono stati versati sin da gli anni ’60/’70 e sono rimasti per oltre 40 anni praticamente senza movimentazione. Non essendoci alcun mistero, non ho fatto ricorso al segreto bancario, ma ho autorizzato senza riserve la Procura svizzera a collaborare con la Procura di Catania” scrive Ciancio in una nota. “E’ vero – chiosa l’editore – sono nato più che benestante e probabilmente, questa è la mia colpa. Come sembra essere oggi mia colpa ancora più grave quella di essere nato in Sicilia e di avere sempre in questa terra proficuamente lavorato e portato avanti per decenni tante attività imprenditoriali”.