C’è un ristorante a due passi dal Quirinale dove con una quindicina di euro, forse meno, potete pranzare serviti da impeccabili camerieri in guanti bianchi. Per esempio un tagliolini con bottarga costa quattro euro, idem le seppie alla griglia che si possono trovare sulla carta di questa settimana. Il menù fisso di domenica 7 giugno veniva 13 euro e proponeva affumicati di mare, ravioli di cernia, rombo in crosta di zucchine e via acquolinando. Un vero affare: e c’è qualcuno che ancora protesta per le mense dei parlamentari.
Ma non fatevi venire delle strane idee. Perché, anche se lo trovate su Tripadvisor, non è roba per voi. E tantomeno per me. Per entrarvi dovete essere soci di un club esclusivo anche se abbastanza numeroso. Un club dove forse non si sente più il tintinnio degli speroni ma nelle cui stanze è stato appeso fino a poco tempo fa il ritratto a olio di re sciaboletta, tanto per ricordarsi da dove veniamo. È il Circolo ufficiali delle Forze armate, un luogo frequentato anche da generaloni e ministri della Difesa ma soprattutto da pensionati e nipoti di pensionati gallonati. Del Circolo se ne è parlato qualche mese fa in occasione della riconsegna ai Beni culturali di circa settecento metri quadrati di palazzo Barberini, uno splendido edificio Seicentesco in parte opera del Bernini e del Borromini, passato alla storia politica d’Italia perché qui vi si consumò lo strappo saragattiano dai socialisti nenniani. Gli ufficiali d’Italia hanno occupato abusivamente l’ex palazzo di Papa Urbano VIII per quasi settant’anni. Per molti l’occupazione del palazzo, è il caso proprio di dire manu militari, fu un vero e proprio atto di prepotenza.
Un’occupazione “scandalosa e illegale” la definì Antonio Cederna in un articolo su “Italia Nostra” dell’ottobre 1992 intitolato “La liberazione di palazzo Barberini”. Il ministro dei Beni culturali Alberto Ronchey aveva deciso che il circolo sarebbe stato trasferito a Villa Blanc. Ma Cederna e Ronchey avevano sottovalutato l’eroismo dei nostri soldati. Che si rifiutarono di arretrare e rimasero inchiodati sul posto. Neppure due successivi decreti legge che assegnavano al circolo la Casina delle Rose, al centro del bellissimo parco di Villa Borghese, ebbero ragione della ferrea volontà dei nostri generali. Alla fine hanno ceduto, ma non troppo: “Mancò la fortuna non il valore”, si potrebbe dire se non rischiassimo di sembrare irriverenti verso quei militari che queste parole se le meritarono davvero. In cambio hanno ottenuto una palazzina, la Savorgnan di Brazzà, che sta comunque dentro i bellissimi giardini del palazzo per la cui difesa tanti valorosi graduati si sono spesi.
Negli anni avevo seguito, sia pure distrattamente, la storia del Circolo e del palazzo. E mi ero sempre chiesto per che motivo i nostri grecati si rifiutassero di mollare l’osso in cambio di location straordinarie come i giardini di Villa Borghese. In verità non avevo mai fatto attenzione a un dettaglio, che dettaglio evidentemente non è: palazzo Barberini in pratica comunica con i palazzi dove hanno gli uffici il ministro della Difesa e il Capo di Stato maggiore della Difesa e sta dall’altro lato della strada rispetto allo Stato maggiore dell’Esercito e al Segretario generale della Difesa. Volete mettere la sciccheria di una mensa aziendale dentro un palazzo papale a cinquanta metri dall’ufficio?
Una mensa piuttosto esclusiva oltre che sontuosa. E costosa. Formalmente a disposizione di tutti gli ufficiali italiani, di qualsiasi forza armata o corpo militare, ma di fatto solo gli ufficiali romani e i loro familiari ne usufruiscono. Oltre a una pletora di gente che si imbuca perché trent’anni prima aveva fatto il sottotenente di complemento nei bersaglieri. E naturalmente ministri, sottosegretari e ospiti vari. Che non pagano nemmeno la quota sociale. Non ho idea della qualità del cibo. Immagino sia almeno decente visto che ci mangiano i papaveri della Difesa. Si dice che La Russa fosse un assiduo, mentre sarebbero più rarefatte le presenze della Pinotti. Il ministro Mario Mauro era ospite frequente di una delle varie sale del Circolo: Caminetto, Angeli, Chiostrino
I conti del Circolo sarebbero in ordine. Si dice. Ma non lo si sa davvero perché non vi è traccia di bilanci pubblici. Anche se vi posso rivelare che a leggere alcuni rendiconti sembrerebbe che le cose stiano proprio così. Ad esempio, nel 2013 il Circolo ha avuto entrate per 1.086.681 euro e uscite per 896.285, con un “utile” di oltre 190 mila euro (l’anno prima era andato peggio, solo 16 mila euro di avanzo su volumi finanziari simili). Perfetto, “lo Stato che funziona” direbbe il nostro, un tempo invincibile, #nonstaipiùsereno. Più che bene, direi un miracolo con quei prezzi del ristorante. Forse per capirne di più potremmo chiamare i ghostbuster del Cicap, gli investigatori del paranormale.
Ai quali potremmo facilitare il lavoro passandogli una dritta: nei costi considerati non sono compresi né il personale militare e civile dipendente statale che lavora al Circolo, né le spese delle infrastrutture, anche queste opportunamente annegate nel calderone del bilancio delle Difesa e dunque “invisibili”. Non oso immaginare i costi di mantenimento e di gestione dell’infrastruttura, ma certo stiamo in alto. Per il personale una stima è più semplice. Al Circolo fa servizio un bel po’ di gente. C’è un generale, che è il direttore. Ebbene sì, un generale: un fiero alpino attualmente, Rinaldo Rinaldin. Che ci fa direte voi, e dico anch’io, un alpino a dirigere un ristorante? Su Tripadvisor non l’avevano scritto. Però vuoi mettere la distinzione di un generale con la penna bianca che ti accompagna al tavolo?
Tra l’altro dev’essere un servizio rischioso se gli ha procurato persino un encomio solenne. “Ufficiale generale di straordinarie doti morali, intellettuali e professionali, contraddistinto da perfetto stile militare e garbo estremamente signorile….Provvisto di fortissima ed emergente personalità nonché di un incrollabile senso di appartenenza alle istituzioni, ha costantemente assicurato diuturna aderenza ed immancabile tempestività nelle diverse e delicatissime circostanze in cui si è trovato ad operare” si legge nell’encomio firmato La Russa, peraltro piuttosto prodigo di riconoscimenti.
Occhei c’è il generale, encomiato pure. Poi qualche tenente colonnello, capitato di fregata, maggiore. Sei o sette in tutto. Un bel po’ di marescialli e sergenti, dieci o dodici a seconda dei momenti. Una venticinquina di militari di truppa. E infine una ventina di civili, gli unici che uno si aspetterebbe di trovare a lavorare in un circolo-ristorante. In tutto, dunque, tra i sessanta e i sessantacinque dipendenti statali. Pagati a parte, i cui costi non rientrano nei conti “sempre in ordine” del Circolo. Sulla base degli stipendi medi pubblicati dal Conto annuale del Tesoro, a spanne fanno 2.150.000 euro l’anno. Sì, duemilionicentocinquantamila euri. Anzi, 2,25 milioni perché dal conto manca il generale. Per cui per dare da mangiare a 13-15 euro a qualche generale (che già guadagna un bel po’ di soldi), a ministri, reduci immaginari e no, pensionati con le stellette e relativa prole, anch’essa spesso ben oltre l’età canonica della pensione, lo Stato italiano sgancia ogni anno un bel pacchetto di soldi, sicuramente più di due milioni e mezzo di euro. Senza andare a scomodare i minatori del Sulcis che il dopolavoro non ce l’hanno perché non hanno il lavoro, magari i tramvieri di Milano potrebbero trovare qualcosa a che ridire e chiedere anche loro un corposo contributo statale per andare a mangiare la pizza al sabato sera.
Naturalmente i sessanta-settanta militari che lavorano al Circolo, non sono soli. C’è sempre qualche aiuto in affitto, come si usa adesso. Al momento personale di cucina e inserviente viene fornito dalla società Armonia Catering, che gestisce varie strutture militari, quali il circolo unificato di Venezia, quelli ufficiali e sottufficiali di Bologna, la cosiddetta base logistica (leggi spiaggia) di Ca’ Vio, vicino a Venezia. Una visura al registro delle imprese ci dice che la Armonia Catering (che in realtà è registrata come Armonia Living srl) è per il 90 per cento di proprietà di Antonella Meconi e per il restante dieci del marito Mariano Totaro, un commercialista. Mariano è fratello di Giuseppe, colonnello dell’Esercito, capo dell’Ufficio amministrativo dipendente dal sottocapo di Stato maggiore della Difesa. Il mondo è piccolo.
Su Facebook, tra gli amici di Giuseppe c’è anche il generale Rinaldo Rinaldin, direttore del Circolo dove la società del fratello e della cognata di Totaro hanno un appalto. D’altronde, sono colleghi e il colonnello Totaro ha ben 388 amici su Facebook. Il mondo, visto da questa prospettiva, è sempre più piccolo. Facendo qualche altro giro sui social scopriamo poi che tra gli amici di Ruggero “Cavaliere nero” (?) Rinaldin, figlio del generale Rinaldo, c’è anche Mariano Totaro. D’altronde è normale che si conoscano, i rispettivi padre e fratello sono amici e fanno lo stesso lavoro. Ma l’inesauribile mondo dei social network ci restituisce un’altra sorpresa. Ruggero, figlio di Rinaldo, amico di Mariano che è fratello di Giuseppe e marito di Antonella, proprietaria della società Armonia che ha un appalto al circolo diretto da Rinaldo, è responsabile amministrativo dal 2013, così sta scritto nel suo profilo Linkedin, presso (lo avreste mai detto?) Armonia Catering. Che ha l’appalto al Circolo diretto dal padre e si potrebbe ricominciare il giro al contrario. Chi mai ha parlato di sei gradi di separazione? Ma alla fine a chi importa se i figli lavorano nella ditta che ha l’appalto del Circolo che costa allo Stato più di due milioni e mezzo di euro uno sull’altro, e se generali e colonnelli fanno i maître? L’importante è che i prezzi siano bassi. “Prezzi più che popolari” come è scritto su Tripadvisor.