Un presidente finito sotto accusa dopo aver perso le amministrative nella sua città, uno scontro fatto di repliche e controrepliche e un governo che adesso rischia seriamente di cadere. È un regolamento di conti tutto interno al Partito democratico quello che si è aperto nel day after delle elezioni amministrative in Sicilia: da una parte c’è il governatore Rosario Crocetta e dall’altra ci sono i renziani siciliani. Un copione non certo nuovissimo per un partito che in Sicilia è stato animato da violentissime lotte intestine. A fare da casus belli, questa volta, sono le dichiarazioni del governatore, chiamato a spiegare la batosta di Gela, la sua città, diventata il centro più grande amministrato dal Movimento Cinque Stelle sull’isola. Al ballottaggio, infatti, Angelo Fasulo, sindaco uscente del Pd, è stato battuto dal pentastellato Domenico Messinese: ovviamente sul banco degli imputati è dovuto salire il governatore, per anni primo cittadino di Gela, attivissimo nell’ultima disastrosa campagna elettorale.
Crocetta però non sente di avere alcuna responsabilità. “Renzi non ha creduto in me: se Fasulo avesse vinto sarebbe stato un successo dei renziani, invece dato che ha perso vogliono dare la colpa a me”, aveva detto il governatore. Che però è andato a sbattere sulla barriera difensiva preparata dai renziani di Sicilia. Il primo a prendere le immediate difese del premier è Giancarlo Garozzo, sindaco di Siracusa, uno dei rarissimi renziani della prima ora in Sicilia. “Non mi sarei aspettato – ha detto il primo cittadino aretuseo – che a commento dei risultati elettorali, il presidente Crocetta la cui popolarità in Sicilia è pari allo zero, si avventurasse a scaricare le sue responsabilità sul presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Poi ecco arrivare l’attacco in pieno volto: “Prima di valutare ipotesi di nuove maggioranze è giunto il momento di chiederci se sia ancora il caso di sostenere questo governo. Il messaggio lanciato con il voto di domenica è un segnale per un deciso cambio di passo. Crocetta, che finora ha deluso tutte le aspettative, non sembra esserne all’altezza”. Se il premier aveva parlato di un ritorno al Renzi 1, insomma, in Sicilia i suoi vassalli puntano a far tornare in stato di crisi i rapporti interni tra il partito e il governo regionale: già due anni fa, il Pd aveva ritirato l’appoggio a Crocetta, tornando poi sui propri passi.
Quella dei renziani è però una manovra a tenaglia: non a caso, dopo Garozzo, ecco che arriva l’attacco di Marco Zambuto, ex sindaco di Agrigento, regista delle primarie pasticcio nella città dei Templi, ex seguace dei Totò Cuffaro poi fulminato sulla via del renzismo. “Solo un cieco o un megalomane può ignorare che le ragioni della sconfitta del Pd in Sicilia stiano tutte dentro la fallimentare azione del governo della Regione: Penso che si debba aprire dentro il partito una seria riflessione sull’opportunità di continuare un’esperienza di governo che non risulta essere più in sintonia con la Sicilia ed i siciliani”, è il violento j’accuse di Zambuto, che dopo aver confessato di aver fatto visita a Berlusconi ad Arcore, era stato costretto ad annunciare le dimissioni da presidente regionale del Pd: dimissioni mai formalizzate definitivamente, con il risultato che oggi Zambuto parla ancora da dirigente regionale dei democratici.
Ed è per questo che adesso il governo Crocetta rischia davvero grosso. Anche il governatore sembra averlo capito. E non è un caso se getta nella mischia anche il sottosegretario all’Istruzione. “Il sindaco Garozzo parla per mentite spoglie, si fa dettare i comunicati stampa da Davide Faraone: ho assistito personalmente a questo teatrino in occasione di una nota contro Antonello Cracolici, ma tante altre persone ne sono testimoni. Questi sono i rottamatori del Pd, gli uomini di governo?”, dice Crocetta, che poi cerca di camuffarsi a sua volta da renziano di ferro. “Sono sempre stato un rottamatore, stimo Renzi, ritengo che sia l’unica ricetta possibile per l’Italia: il capo del governo non può avere informazioni sull’attività del mio governo proprio da chi, professandosi renziano, non fa altro che attaccarmi invece di lavorare per la Sicilia”. L’impressione, però, è un’altra: e cioè che questa volta la miccia che ha fatto esplodere i rapporti nel Pd di Sicilia sia stata innescata da Roma. E sullo sfondo qualcuno stia già scaldando i motori in vista di una campagna elettorale anticipata.