“La danza è la mia voce. È un bisogno, uno sfogo. Uso il corpo per parlare di me e del mondo. Se non lo faccio, resto muto”. Mimmo Miccolis è un fiume in piena. Lo scorso aprile, al teatro Lincoln Center di New York, vince il premio come migliore coreografo dell’edizione 2015 del Youth America grand prix, il concorso di danza più prestigioso al mondo. È la prima volta per un italiano. “Sono al settimo cielo. Ero seduto in terza galleria quando mi hanno chiamato sul palco, è stata la corsa più veloce della mia vita. La platea era strapiena di gente di ogni continente”.
Lo vota una giuria di 22 giudici, rappresentati dai direttori delle più importanti compagnie di balletto della storia, come il Royal ballet di Londra, quella dell’Opéra di Parigi e del Bolshoi di Mosca. Porta una coreografia di gruppo e quattro solisti, e uno di questi arriva terzo nella classifica di categoria. “Ho scoperto che quello che per gli altri è innovativo nelle mie opere è quello che fa parte di me, quello che mi viene più spontaneo, di cui non mi rendevo neanche conto, e non gli elementi di rottura che ho pianificato”. Mimmo, 31 anni, spiega di non tradire se stesso e i suoi sogni quando gli va male. Quando qualcuno non crede in lui. Quando non supera un provino. Quando vede il buio. “Devi accettare gli alti e i bassi. E non avere paura del cambiamento. Io sono un tipo ottimista. Per me il futuro offre sempre una chance migliore del passato”.
Mimmo nasce a Conversano, nel barese. Pellegrino per la danza da quando ha 15 anni. Da Bari, a Firenze, Roma, Londra e Washington. Dopo le prove, lavora come cameriere per pagarsi tutto. Fino al settembre del 2014, quando firma un contratto part time per il Washington ballet. “Ero arrivato negli Stati Uniti l’anno prima, mi ero iscritto a una scuola di danza, dove ho conosciuto una ragazza austriaca. Avevamo lo stesso desiderio: fare i coreografi. Lei aveva in mente uno spettacolo sulla crescita economica e sociale, io sui diritti umani. Abbiamo incrociato i temi ed è nato Growth and rights. I ballerini li ho chiesti al Washington ballet. Li ho pagati io. Loro mi hanno dato il palco per le prove. Lo spettacolo è piaciuto così tanto al direttore della compagnia che mi ha proposto di lavorare per lui”.
Growth and rights va in scena al Kennedy Center, dove ogni giorno, alle 18, i giovani talenti hanno l’opportunità di esibirsi. Con un budget offerto di mille euro. “Lo spettacolo è gratis per il pubblico. Wow, ho pensato, ecco l’America!”. Il premio gli apre nuovi orizzonti. “Mi hanno affidato i corsi estivi e più compiti per il prossimo anno accademico. Sono molto entusiasti di me”. In Italia avrebbe dovuto gettare la spugna. Per una serie di pregiudizi. “Impara l’arte e mettila da parte” si sente dire spesso. Una frase che detesta. “Che lavoro fai? La gente mi chiedeva. Danzatore e coreografo, rispondevo. Dimmi il tuo vero lavoro, mi ripetevano. Ecco avete capito come siamo messi”. E per la cultura che sopravvive con risorse risicate. Magari destinate alle solite compagnie. “Non c’è spazio per nuovi coreografi”, e Mimmo lo capisce sulla sua pelle.
A cinque anni sa già fare spaccata e piroette. “Mia sorella, più grande di quattro anni, faceva danza. Quando mia madre l’accompagnava a lezione lasciava là anche me. Io imitavo i passi. Un giorno ho chiesto all’insegnante se potevo fare il saggio. Mi prese senza dirlo a nessuno. Per un maschio, a quei tempi, in Meridione, era una cosa strana”. Dai 15 ai 18 anni va avanti e indietro da Bari: il coreografo della Fondazione Piccinini lo vede ballare a Conversano e lo vuole tra i suoi allievi. Due anni dopo è al “Balletto di Toscana” di Firenze. E i sette anni successivi a Roma, pane per i suoi denti. “È il regno delle audizioni, ce ne sono tutti i giorni, ne facevo una a settimana”. La Capitale diventa la base, il resto del mondo il suo palcoscenico. Verona, Bilbao, Lille, Oman, Albania. Dai passi classici a quelli contemporanei. Fa anche un’esperienza di un anno in tv, nel corpo di ballo di Domenica in, su Rai Uno. Lo seleziona Pippo Baudo in persona. “Ho sempre preferito il teatro però”, ammette, e lascia il piccolo schermo alla svelta.
Il tempo in Italia si è consumato. Sfrutta tutto quello che può sfruttare. Qui non può fare più nulla. “Meno audizioni, offerte di lavoro in nero”. Tenta la carta Londra. È il 2011. “L’Inghilterra si preparava alle Olimpiadi, tutto poteva accadere in quel periodo, giravano soldi, era il mio momento”. Deve cominciare tutto da zero. Oltremanica non conosce nessuno. E non sa neanche l’inglese. Si iscrive a un corso di lingua e uno di danza, all’accademica The place, il primo centro di danza contemporanei sull’isola. Nell’ambiente incontra una coreografa polacca che ha una piccola compagnia. Coglie l’attimo e propone una coreografia sulla violenza femminile.
Il risultato è “Lust lost last”. Il direttore di un teatro vede lo spettacolo e lo invita a partecipare a un concorso della Bbc dedicato all’arte (“Bbc performing arts fund”). “Ho inviato subito la domanda e sono stato selezionato. Ero l’unico straniero. C’erano in palio dieci nuove produzioni e diecimila sterline per ogni compagnia”. I diritti umani è il tema su cui vuole lavorare. Trova dieci ballerine di altrettante etnie diverse e in tre mesi e mezzo mette in piedi “Rights?”. Fa tre spettacoli, tanta pubblicità, tantissimi feedback positivi. Per mantenersi, quando stacca da teatro indossa un grembiule in un pub, ricordiamolo. “Un posto da cameriere lo trovi sempre”. Dopo quasi tre anni vola a Washington e si realizza.