Così diverso e così uguale a 42 anni fa l’Estadio Nacional di Santiago del Chile, oggi dedicato al giornalista sportivo Julio Martínez Prádanos, tornerà a popolarsi questa notte per una sfida decisiva nella rincorsa roja alla Copa America.
Era il 1973 e quell’arena, che già aveva visto il trionfo di Garrincha al Mondiale di undici anni prima, si trasformò in un macello. Il regime di Augusto Pinochet aveva da pochi giorni sovvertito la democrazia socialista di Salvador Allende, il tempio del pallone nazionale fu uno dei principali teatri della feroce repressione.
Si calcola che, nell’arco di due mesi, oltre 40 mila persone passarono da quei cancelli. Uomini e donne tenuti in stato di fermo per ore e giorni sul terreno di gioco e sulle tribune, interrogati, torturati e non di rado uccisi negli spogliatoi, dove le violenze erano meno visibili. Botte e sevizie di massa, qui a pistolettate terminò la vita di Victor Jara, straordinario artista.
Da fuori l’aspetto dell’impianto è rimasto quello di allora. Lo stadio di Santiago è un monumento nazionale, gli interventi di rinnovamento devono lasciare la facciata così com’è. L’unico lavoro sull’esterno lo ha fatto il tempo. Dentro invece è cambiato molto, per via di una ristrutturazione milionaria realizzata tra il 2009 e il 2010. “Sarà lo stadio più bello di tutto il Sud America” proclamò allora la presidenta Michelle Bachelet. Forse un filo enfatica, per altro la copertura promessa non è mai arrivata, ma di certo si tratta di una struttura con il suo fascino. La capacità è stata quasi dimezzata: ai tempi della Battaglia di Santiago contro gli azzurri era giunto a stipare 80 mila spettatori, oggi ne tiene 48 mila, cifre maggiormente d’attualità.
Tanti potranno assistere alla finale del 4 luglio che qui, ultimo di sei match, si terrà. Il prossimo, come detto, è in calendario all’1 e 30 di questa notte e deciderà i piazzamenti del gruppo A. Cile e Bolivia sono pari a quota quattro. Non si parli però di biscottone, perché tra i due paesi, da 130 anni circa a questa parte, non scorre sangue particolarmente dolce. Sul finire dell’800 furono protagonisti di uno sanguinoso conflitto, noto come Guerra del Salnitro. Oggetto del contendere il deserto di Atacama che, dopo scontri e trattati di pace, rimase cileno, negando uno sbocco sul mare alla Bolivia. Di recente Evo Morales ha portato la questione alla corte di giustizia dell’Aja e ogni volta che le due squadre si incontrano sul rettangolo di gioco sono fischi dagli spalti e scivolate assassine in campo.
Chissà se prenderà parte alla contesa Arturo Vidal, il centrocampista della Juve e miglior marcatore del torneo, che pochi giorni fa ha distrutto la sua Ferrari dopo un botto da ubriaco, coronato da minacce e, pare, mani addosso alla polizia cilena. Il ct Sampaoli e il Paese paiono pronti a perdonargli tutto, ché la morale non fa gol né passaggi decisivi.
Il Cile non ha vinto alcuna delle 43 edizioni della Copa America, che l’anno prossimo festeggerà 100 anni di esistenza e leggendarie imprese. A Santiago sognano che sia questa la volta buona in un torneo che non ammette pronostici e in cui, Argentina apparentemente superiore nell’organico a parte, pretendenti storiche come Brasile e Uruguay appaiono lontani dai loro fasti.